LE DIMISSIONI CON L’ELASTICO DELLA SINDACA DI QUARTO
Le dimissioni, in Italia, sono un istituto precario, esposto alle intemperie del ripensamento, al travaglio umanissimo delle menti politiche che cercano sempre la decisione perfetta. Sono così fragili che ogni qual volta un sindaco arriva alla risoluzione di rassegnarle si sente subito chiedere: ma sono revocabili o irrevocabili? Come se la parola da sola non bastasse, avesse bisogno per forza di quell’aggettivo per raggiungere un significato.
In un Paese così non poteva mancare l’articolo 53 del Testo unico degli enti locali che cristallizza in una norma solenne l’indecisione del politico. Se un sindaco o un presidente di Provincia lasciano, la loro comunicazione diventa efficace soltanto 20 giorni dopo. «Ius poenitendi», lo chiamano, diritto di pentirsi. In pratica sono le «dimissioni con l’elastico». La sindaca di Quarto, Rosa Capuozzo, è stata soltanto l’ultima, ieri, ad aggiungersi al club degli irresoluti. Dopo essersi dimessa per l’inchiesta che ha travolto il suo Comune, dopo aver battagliato con il suo ex movimento dei 5 Stelle, trascorsi 19 giorni ha voluto stracciare la lettera depositata in consiglio. «Spenti i riflettori, ho potuto riflettere», ha spiegato con un gioco di parole.
Prima di lei ci ha provato Ignazio Marino, ma l’abbandono simultaneo di ben 26 consiglieri comunali lo ha poi disarcionato definitivamente. Tra i casi più antichi si ricorda quello di Antonio Bassolino, che aspettò il ventesimo giorno per comunicare il suo ripensamento. C’è stato perfino un sindaco, l’ischitano Giosi Ferrandino, che ha ritirato le dimissioni da una cella, «per evitare il commissariamento in un momento di crisi». Recentemente è tornato sui suoi passi il potentino Dario De Luca, «per ridurre il debito».
Le motivazioni sono sempre nobili, ma in un Paese così instabile, non sarebbe il caso di stabilizzare almeno le rarissime dimissioni? Anche il legislatore ha il diritto di pentirsi e di cambiare, finalmente, quel maledetto articolo 53.
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