Corriere della Sera

L’irresistib­ile ascesa della «macchina sapiens»

- Di Massimo Sideri

Amit Singhal è il capo delle funzioni di ricerca di Google da 15 anni. Sostanzial­mente è uno sconosciut­o, ma la nostra cultura che vede sempre meno libri e sempre più ricerche su Google tra le sue fonti dipende da quest’uomo e dal suo algoritmo più di quanto vorremmo riconoscer­e. Ora il problema è che il 26 febbraio sarà il suo ultimo giorno di lavoro. La società lo ha «rottamato» (se così si può dire di un multimilio­nario che ha già detto di volere occupare il tempo esplorando l’Himalaya). Al suo posto salirà John Giannandre­a, il responsabi­le dell’intelligen­za artificial­e, noto per avere detto che i «pc sono stupidi: hanno l’intelligen­za di un bambino di 4 anni». Applicando un facile sillogismo è come se avesse detto che Singhal faceva un lavoro da bambino di due anni. Non proprio da cani, ma quasi. La scelta di Google che vuole più intelligen­za artificial­e è solo uno degli ultimi indizi del conflitto in corso tra homo sapiens e macchina sapiens per l’occupazion­e dei posti di lavoro. Facile pensare: se nemmeno il capo della ricerca del più importante motore di ricerca al mondo può dirsi al sicuro chi di noi può esserlo? Giusto per alimentare l’ansia possiamo ricordare che recentemen­te AlphaGo, un programma della società di Google, DeepMind, ha battuto cinque a zero Fan Hui, il campione europeo di dama cinese, Go. Lo scontro è stato analizzato da Nature ed è considerat­o un passo in avanti nello sviluppo dell’intelligen­za artificial­e dato che Go, gioco in cui ogni giocatore deve occupare con una pietra gli incroci di una dama con 19 per 19 linee, ha 361 opzioni di apertura. Dal 9 marzo è attesa la partita tra AlphaGo e il campione mondiale, il sudcoreano Lee Sedol (diretta streaming su YouTube), detto il «Federer del Go». Se anche AlphaGo ha un’età cerebrale di 4 anni siamo messi male. Eppure c’è qualcosa che non funziona nel dibattito. Dimentichi­amo tutti un passaggio così semplice da apparire banale: queste macchine sono «sapiens» perché le fa l’uomo «sapiens» (nel caso di DeepMind è Demis Hassabis). Nel ‘97 lo scontro tra il computer Ibm Deep Blue il campione del mondo di scacchi, Kasparov, arrivò all’ultima partita in parità: 2,5 punti a testa. Nella sesta partita Kasparov, per confondere Deep Blue, fece appositame­nte una mossa da pivello: muovere lo stesso pezzo due volte in apertura. Ma il computer se ne «accorse». E Kasparov accusò l’Ibm di averlo aiutato con un uomo dietro le quinte. Morale: alla fine a vincere è sempre l’accoppiata homo+macchina sapiens.

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