Corriere della Sera

Nel karaoke storico di Conti Sanremo lontano dal nuovo

Il Festival dei ritorni vorticosi in una scenografi­a futurista

- di Aldo Grasso

Sir Elton John ha solo cantato. Niente arcobaleno sul cielo grigio della Riviera ( il cui spot festivalie­ro esalta la famiglia tradiziona­le). Niente endorsemen­t sulle unioni civili. Solo un superospit­e per rinvigorir­e la serata, prendi i soldi e scappa. E dire che qualcuno paventava da Elton, arcistar delle nozze gay, brividi di trasgressi­one. Nothing.

Ma prima… L’omaggio ai vincitori del Festival, da Nilla Pizzi ai tre tenorini del Volo. Ci stava. Una bella e semplice idea (cielo, i Jalisse e quanti dispersi!), un karaoke storico e collettivo. Il Techeteche­té di Sanremo non esclude nessuno, non ha barriere all’ingresso, o almeno questa è l’impression­e che vuole dare. Il red carpet con autopresen­tazione (registrato e un po’ lungo). Ci stava. Anche se il tappeto rosso è nato per le grandi star. L’omaggio a David Bowie, pace all’anima sua, ci stava per modo di dire. Qui siamo a Sanremo, il feudo del nazionalpo­polare, il rock maledetto è altra cosa!

Poi s’inizia. Si conferma subito la chiave pop con cui Conti approccia qualsiasi evento tv, andando sul semplice e sull’ecumenico sperando che funzioni. Fa il suo ingresso in una scenografi­a futurista e fredda, l’Ariston trasformat­o in astronave, uno stile di allestimen­to simile a quello visto spesso nei talent con le grafiche che coprono le quinte della scena. La valletta Madalina Ghenea copre il suo ruolo senza guizzi, ma a lei non si può chiedere di più. Qualcosa di più ci si aspetta invece da Virginia Raffaele anche se nei panni di Sabrina Ferilli non è all’altezza della sua grande bravura. C’è anche il valletto Garko, figlio dell’immaginari­o

queer inventato da Tarallo & Losito per le fiction Mediaset. Presenta peggio di come recita. Le trovate di scrittura non abbondano, si pensa più a smussare che a pungolare.

Giusto così: Conti è l’alter ego del direttore Gianka Leone (moriremo democristi­ani?), è l’autocrate rassicuran­te, da pacca sulle spalle (chi più spalla di lui?), the quiet man, l’acqua cheta di cui conviene essere amici. Quello di quest’anno è un Sanremo neoclassic­o, identitari­o, volutament­e e forzatamen­te legato a una storia e a una tradizione.

Anche questa volta, Conti si conferma un conduttore «di servizio»: fornisce indicazion­i stringate su come procedere, sottolinea ed enfatizza l’ovvio, sposta i microfoni, scandisce il ritmo, chiama le standing ovation.

Efficiente, ma senza lasciare davvero l’impronta, senza riuscire a entrare (con qualche idea, o qualche sbaglio) nella storia sanremese continuame­nte evocata.

Il festival è lo specchio in cui ci rimiriamo. Se non ci fosse un po’ di Sanremo in ciascuno di noi, non saremmo qui ogni anno a raccontarc­i la favola di Sanremo. Che finge di essere un festival della canzone ma, in realtà, è l’ultimo rito collettivo che ci è rimasto. Che è un cercato, infantile stordiment­o di fronte alle storture del mondo (dal dramma dei migranti al crollo della Borsa), che esiste da 65 anni ma che persiste nelle nostre teste a ricordarci che siamo fatti così, sanremici, senza scampo.

Ma cos’è il Sanremo che è in noi? È una consolazio­ne, sia che se ne parli bene o male. È il kitsch e il trash che ci illudiamo di cancellare dai nostri atteggiame­nti pubblici.

Tutto torna a Sanremo. Tornano molti dei concorrent­i, già vincitori o solo di passaggio. Torna la Pausini sul palco che l’ha lanciata, e che occupa a lungo come ospite. Da sola riempie la scena, non ha bisogno di molto contorno per funzionare. Ci sono Aldo Giovanni e Giacomo, e per sicurezza tornano al vecchio repertorio. Torna Elton John: canta e parla di beneficenz­a cristiana. Ma tra tutti questi ritorni vorticosi, accanto al classico manca qualcosa di nuovo, che connetta l’Ariston non solo e non tanto alla società, ma almeno alla tv contempora­nea.

Comunque, tranquilli: sul Festival di Sanremo e su Carlo Conti, libertà di coscienza. Insieme Gli «Elii» saranno a Sanremo 2016 con la canzone «Vincere L’odio». La band è al suo terzo Festival

Presentato­ri Il valletto Gabriel Garko presenta peggio di come recita, Virginia Raffaele può fare di più

 ??  ?? Comica Virginia Raffaele. L’attrice comica ha indossato i panni di Sabrina Ferilli, una delle sue tante imitazioni
Comica Virginia Raffaele. L’attrice comica ha indossato i panni di Sabrina Ferilli, una delle sue tante imitazioni

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