Corriere della Sera

Le passioni sotto il tendone hanno incendiato il cinema

-

di Tod Browning, dove un’acrobata sposa un nano per malvagi fini. Una passerella di illusioni e delusioni, annunciate dalla fanfara e dai ruggiti delle bestie feroci, lo vide Ingmar Bergman in Una vampata d’amore, ’53, col dramma del direttore di circo innamorato della sua cavalleriz­za. Subito i grandi avevano visto nel circo e nella sua meraviglia a orari obbligati, la vitamina di un cinema che doveva nutrire la fantasia.

Wenders, dopo tanti road rock movie, si rintana sotto la cupola di un circo dove uno dei suoi angeli invisibili (Bruno Ganz) spasima per la bella trapezista: l’esercizio del salto nel vuoto è metafora di momenti fatali della vita. Ed infatti si giocano al circo molti finali di partita come nel capolavoro Lola Montès di Ophuls, dove la scandalosa ballerina che attrasse Liszt e Luigi di Baviera, finisce attrazione in un circo dove l’impresario la presenta come mostro dissoluto che si può baciare per un dollaro.

Lo stesso destino che segnò Buffalo Bill, alias Paul Newman nel film di Altman del ’76, in cui le star del vecchio western, s’esibiscono negli eroismi di frontiera. Sfida all’Ok Corral tra storia e leggenda, Ford preferiva la seconda. Piccoli grandi uomini nell’etica del gran spettacolo, primo comandamen­to

Sentimenti elevati Gina Lollobrigi­da e Tony Curtis in «Trapezio» (1956) dell’american way of entertainm­ent: esempio Barnum, la più grande storia circense mai raccontata. In questo senso il cinema ha usato il mondo folk del circo, poetico e randagio, in kolossal con o senz’anima: splende in remota memoria il Più grande spettacolo del mondo del mitico Cecil Blount De Mille, intimo amico di Mosè, Cleopatra e Sansone, fautore della formula «sangue sesso e Bibbia». Filmone di turgidi colori, addì 1952, in cui un impresario che conta fra il pubblico Bob Hope e Bing Crosby sia in turbamento tra una trapezista (ruolo gettonato nelle love story perché ogni sera mette a serio rischio l’happy end) e una domatrice di elefanti, col profilo scontroso di Gloria Grahame.

Il senso, il tòpos: the show must go on, è il finale del capolavoro felliniano, il film si fa, il circo riparte, qualcuno verrà, una scintilla scoccherà. Se dobbiamo scegliere un’inquadratu­ra, ci vengono in mente due grandi clown, Jacques Tati nel film-show Il circo di Tati; e Charlot nel finale del Circo, laggiù nel 1928 col nostro eroe vagabondo che come sempre per sfuggire a un poliziotto si rifugia sotto la volta del circo dove si accendono, anche sentimenta­lmente, luci della ribalta. Finale con chiusura dell’inquadratu­ra a iride, come amava Truffaut, per dire a tutti che vissero felici e contenti.

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy