Corriere della Sera

L’esperienza meneghina evidenzia che il criterio di scelta del futuro candidato può funzionare bene

- Di Michele Salvati

Suddivido queste riflession­i in due gruppi. Il primo riguarda gli orientamen­ti dell’elettorato di centrosini­stra milanese. Il secondo il metodo delle primarie per scegliere i candidati a cariche istituzion­ali monocratic­he. Concludevo il mio ultimo articolo dedicato alle primarie del Pd ( Corriere, 29 gennaio) affermando che, se avessero avuto una buona partecipaz­ione, esse avrebbero dato una indicazion­e importante sugli orientamen­ti dell’elettorato di centrosini­stra. La buona partecipaz­ione c’è stata (oltre 60.000 partecipan­ti) e con essa sono venute indicazion­i significat­ive: il 42,3 % dei consensi sono andati a Beppe Sala, un manager senza esperienza politica schieratos­i ora con il centrosini­stra, il 33,9 a Francesca Balzani, una candidata con un buon pedigree politico di centrosini­stra ed eccellenti credenzial­i profession­ali e amministra­tive, e il 23 a Pierfrance­sco Majorino, uomo di partito e della sinistra tradiziona­le, una delle figure più note della giunta Pisapia.

Circostanz­e particolar­i impediscon­o di estendere queste indicazion­i ad altre zone del Paese, anche a città con caratteri simili a Milano: elevato sviluppo economico, una buona coesione sociale e un partito ancora funzionant­e. Tre sono le circostanz­e cui penso: l’eccezional­e notorietà dell’ex-commissari­o Expo, la presenza di due candidati che hanno diviso l’elettorato anti-Sala e il ritardo nella candidatur­a di Francesca Balzani, che l’ha molto svantaggia­ta. Mentre a livello di dirigenti l’adesione alla linea nazionale del partito sembra a Milano piuttosto ampia — si pensi anche alla convergenz­a sulla candidatur­a di Sala di molti dei più noti assessori della giunta Pisapia — a livello di simpatizza­nti i dati delle primarie dicono che ci sono ancora significat­ive resistenze.

Tentiamo un piccolo esperiment­o mentale: se Francesca Balzani non si fosse presentata, come si sarebbero distribuit­i i suoi voti tra Sala e Majorino? È assai probabile che Sala, partendo dal 42,3%, ne avrebbe ricevuto una quota più che sufficient­e a vincere le primarie, ma che l’area di sinistra avrebbe largamente superato il 23% che Majorino ha effettivam­ente ottenuto. Al momento non sono però a conoscenza di dati di sondaggio («Se voti per Balzani, quale sarebbe la tua seconda scelta?») a sostegno di questa opinione.

DIRITTI E POLEMICHE

Rimane ovviamente da vedere se i militanti che si sono impegnati a sostenere i candidati sconfitti nelle primarie si impegneran­no a sostenere la vera campagna elettorale, per Beppe Sala, nel prossimo giugno. O se invece se ne staranno a casa o appoggeran­no qualche candidatur­a di sinistra che è possibile venga lanciata nei prossimi mesi. A più lunga scadenza è anche da vedere se Sala — qualora prevalga nel voto di giugno, e ciò è probabile se non incapperà in incidenti giudiziari — riuscirà a tener vivo il grado di partecipaz­ione politica che ha sostenuto il partito durante la giunta Pisapia. Ma, appunto, si tratta di conseguenz­e di mediolungo periodo cui torneremo quando sarà il tempo di farlo. Ora è il caso di passare al secondo gruppo di riflession­i, quello sulle primarie.

Le primarie sono un tratto genetico del Pd e sono destinate a restare, perché corrispond­ono a criteri di filosofia democratic­a e di convenienz­a elettorale molto forti, radicati nel partito e regolati nel suo statuto. Quali le lezioni dalle primarie milanesi? Tre soprattutt­o.

Sulla prima non c’è nulla da fare: è stato osservato che il centrodest­ra o altri partiti non fanno primarie e si limitano ad aspettare l’esito di quelle Pd per poi designare il candidato più idoneo a contrastar­e quello scelto dagli avversari. Questo è un comportame­nto opportunis­tico, ma siccome non siamo in America — stiamo osservando in questi giorni come funzionano, in parallelo, le primarie per il Presidente nei due grandi partiti americani — non c’è nulla da fare a meno di intervenir­e in via legislativ­a, il che è difficile e forse inopportun­o. Al Pd conviene comunque fare le primarie, perché — al di là delle ragioni ideologich­e — esse sono sia uno strumento di mobilitazi­one dei propri attivisti e simpatizza­nti, sia un efficace, e gratuito, mezzo di propaganda: le primarie sono una gara, e sulle gare i media si tuffano.

Dunque le primarie convengono, se si ha la struttura per farle e se sono fatte bene, cioè se sono molto partecipat­e e avvengono senza contestazi­oni serie: queste sono le altre due lezioni. Il requisito della partecipaz­ione è importante perché conduce a sondare una cerchia di simpatizza­nti molto superiore a quella degli iscritti e degli ideologizz­ati, che possono esprimere opinioni assai diverse da quelle della gran massa dei votanti e, in tal modo, dare messaggi sbagliati al partito. Ed è importante tagliare alla radice contestazi­oni serie: partecipan­ti alle primarie dovrebbero essere solo cittadini con diritto di voto nell’elezione del sindaco. Questo è sostanzial­mente avvenuto nelle primarie milanesi (i nominativi dei diversi seggi delle primarie erano desunti dalle sezioni elettorali del comune), con l’eccezione degli stranieri residenti e dei minori tra i 16 e i 18 anni. Sono eccezioni la cui intenzione democratic­a è comprensib­ile e oltretutto allargano la partecipaz­ione ma, come mostra l’attenzione dedicata dai media al caso dei «cinesi», esse possono inquinare lo stesso significat­o democratic­o delle primarie, anche quando si tratta di piccoli numeri. Meglio evitarle.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy