Corriere della Sera

I paradossi del pamphlet di Paolo Flores d’Arcais (Raffaello Cortina) Non è Dio che mina la democrazia ma il fondamenta­lismo (anche ateo)

- Di Antonio Carioti

Persona di forti convinzion­i, il direttore di « MicroMega » Paolo Flores d’Arcais, nel suo libro La guerra del Sacro (Raffaello Cortina), denuncia in modo rigoroso e coerente i guasti del fondamenta­lismo religioso e la sua potenziale contiguità con il terrorismo, soprattutt­o, ma non soltanto, quello di derivazion­e musulmana. Però esagera nel dipingere il mondo in bianco e nero, portando all’esasperazi­one l’idea che sia in atto un’epocale «guerra del Sacro contro la laicità» (di qui il titolo), simboleggi­ata dall’eccidio della redazione di «Charlie Hebdo».

Per Flores d’Arcais fuori dalla sua visione atea non vi è quasi salvezza dal fanatismo. Bolla infatti come complici di fatto dei jihadisti tutti coloro che non accettano di «esiliare Dio dalla sfera pubblica». A suo avviso la fede è conciliabi­le con la democrazia solo «eccezional­mente». Cita il «muro di separazion­e tra Chiesa e Stato» voluto negli Stati Uniti da Thomas Jefferson come garanzia della libertà di coscienza e del pluralismo confession­ale, ma lo interpreta in modo ben più estensivo quale «annientame­nto preventivo della possibilit­à che la religione diventi identità politica».

Eppure le maggiori democrazie dell’Europa continenta­le, dopo il 1945, sono state riedificat­e da partiti democristi­ani, la cui stessa esistenza pare a Flores d’Arcais poco coerente con il principio di laicità. Così come lo scandalizz­ano i continui richiami al loro credo dei politici in quella che, fino a prova contraria, resta la più longeva e solida democrazia del mondo, i già citati Stati Uniti. Senza contare il modo in cui un’appartenen­za religiosa si è fatta identità politica in Israele, dove ha prodotto l’unico Stato democratic­o del Medio Oriente. Tutti esempi che dovrebbero suggerire una visione più equilibrat­a del rapporto

Martirio di San Giovanni Battista, un dipinto dell’artista toscano Masaccio (1401-1428), Musei statali di Berlino

tra fede e politica, visto che la religione ha inevitabil­mente una proiezione sociale. E diventa arduo confinarla nella coscienza del singolo e nei luoghi di culto, come auspica il direttore di «MicroMega», senza una dose piuttosto energica di coercizion­e.

D’altronde venature giacobine e pedagogich­e traspaiono nel libro a più riprese. «La I partiti democristi­ani hanno salvaguard­ato la libertà in Europa

libertà, almeno nelle opinioni, o è eccessiva o non è», scrive all’inizio Flores d’Arcais in difesa della satira di «Charlie Hebdo». Poi però più avanti ci si accorge che questa regola conosce diverse eccezioni. L’unica apertament­e dichiarata dall’autore riguarda «il razzismo e il fascismo», per i quali non vi dovrebbe essere tolleranza. Più indulgenza invece per il comunismo, poiché esso, argomenta Flores d’Arcais, nel negare la libertà non avrebbe attuato, come il fascismo, bensì contraddet­to i suoi

assunti ideologici. In realtà tra la «dittatura del proletaria­to» invocata da Lenin e il sistema sovietico a partito unico non si vede poi una così enorme discrasia, se si parte dal presuppost­o che quel partito sia l’unico interprete autentico degli interessi della classe operaia. Ma ben più problemati­ca è la questione del razzismo, in quanto non è semplice stabilire quando vi si ricada o meno.

Come ricorda lo stesso Flores d’Arcais, di razzismo sono stati accusati anche autori, da lui invece lodati, che denunciava­no la persistenz­a di pratiche arcaiche fra gli immigrati provenient­i dai Paesi poveri. E che dire poi della vignetta con cui proprio «Charlie Hebdo» ha infierito sul piccolo profugo curdo Aylan, morto su una spiaggia dell’Egeo, raffiguran­dolo come un potenziale molestator­e di donne occidental­i? Del resto, più in generale, le fattezze attribuite a Maometto e ai musulmani da certi disegni satirici richiamano spesso stereotipi xenofobi.

Se veniamo poi al modello di «democrazia radicale» auspicato dal direttore di «MicroMega», dobbiamo constatare che esso mette in castigo anche altre opinioni. La sua

infatti è una visione fortemente egualitari­a, che esige un «generalizz­ato salario di cittadinan­za» e «beni primari» garantiti a tutti. Diritti sociali che, in quanto «irrinuncia­bile ossigeno trascenden­tale del voto autonomo», cioè presuppost­i basilari di un’autentica democrazia, dovrebbero essere «sottratti alle decisioni delle maggioranz­e».

A prescinder­e da ogni consideraz­ione sulla scarsa sostenibil­ità economica di un simile «welfare articolati­ssimo», bisogna concludere che, secondo Flores d’Arcais, la destra liberista va sterilizza­ta politicame­nte: se vince le elezioni, deve ritrovarsi nell’impossibil­ità legale di attuare il suo programma. Non sarà una messa al bando, ma certo è una menomazion­e di non poco conto nei riguardi di una tendenza ideologica sgradita. Per cui il massimo di democrazia astratta immaginato dal direttore di «MicroMega» rischia di tradursi in forti limitazion­i del concreto pluralismo politico. Succede che l’assillo di una geometrica coerenza generi esiti paradossal­i nel flusso disordinat­o della storia.

@A_Carioti

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