Corriere della Sera

Se il Paese è lo specchio di uno show

- Di Aldo Grasso

Debutto col botto per il Festival di Sanremo. La prima serata ha fatto registrare una media di 11 milioni 134mila telespetta­tori, share al 49,48%. Di fronte a numeri simili, di solito si tace ammirati. Poniamoci invece una semplice domanda. Com’è possibile che così tante persone seguano un programma così ordinario? Sanremo è il nostro Super Bowl? È la nostra vera Festa Nazionale? Proviamo a rovesciare il cliché classico che si usa in questi casi: Sanremo è lo specchio del Paese. Manco per idea, semmai è vero il contrario: il Paese è lo specchio di Sanremo. Sanremo è sempliceme­nte quello che ci meritiamo. Una serata dove non c’era un briciolo di contempora­neità; una serata dove un modesto apprezzame­nto sulla gioia della paternità è stato letto come uno spot a favore dei matrimoni gay; una serata dove i cantanti più impegnati se la sono cavata con un nastrino arcobaleno; una serata dove Aldo, Giovanni e Giacomo rispolvera­no una loro vecchia gag per paura di affrontare materiale nuovo; una serata dove ci sono ancora la valletta e il valletto... Una serata che, volendo, funziona meglio dell’Istat o del Censis per capire come siamo e dove siamo diretti. A Sanremo si scambia la festa per il quotidiano, l’evento per il tran tran, la prevedibil­ità per l’emozione. Il Festival ci dice con chiarezza quello che non abbiamo più il coraggio di dirci: siamo un Paese votato alla medietà, termine più elegante per non scrivere mediocrità. Con tutto il rispetto per la tv generalist­a (con tutto l’amore) bisogna pur interrogar­si sul fatto che al pieno di audience corrispond­a un vuoto di idee. Solo in Italia è il conduttore a chiedere alla platea la standing ovation. Possiamo ancora una volta gridare al miracolo, consolarci con il fatto che i numeri hanno sempre ragione, rassicurar­ci con l’idea che, alla fine dei Conti, siamo fatti così.

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