Corriere della Sera

La meraviglia del Requiem diretto da Haitink

- Di Enrico Girardi

Il Dio di Ein Deutsches Requiem ( Un Requiem tedesco) di Brahms non è misericord­ioso. È un Dio degli eserciti al quale non ci si rivolge dandogli del tu. Ma ciò non significa che per Brahms sia un Dio lontano, come lo è per Verdi. È piuttosto un Dio oggettivo, della cui esistenza non si dubita.

Tale natura Brahms la rese attraverso una scrittura del pari oggettiva, bachiana, alimentata da una dottrina nel contrappun­to che ha pochi paragoni (un certo Schumann, un certo Wagner). È una scrittura che scalda la mente, prima del cuore. Nulla di tormentato, di romantico. E in tale premessa sta racchiusa l’eccezional­e grandezza dell’esecuzione del Requiem tedesco guidata da Bernard Haitink a capo del Coro e dell’Orchestra della Scala: un debutto folgorante, che ha lasciato un segno indelebile sia presso i musicisti scaligeri — quali tributi di riconoscen­za nei confronti dell’ospite — sia presso il pubblico, che quasi temeva di rompere la magia del silenzio conclusivo con la banalità dell’applauso.

È stata un’esecuzione appunto «oggettiva»: d’acciaio i perimetri formali dei setti brani brahmsiani, asciutti i contenuti espressivi, in quanto volti alla profondità più che all’esteriorit­à. E quanto emerge, così, la sensibilit­à umana di Brahms, che appunto non scende sul piano di una generica teatralità ma rimane alta nelle regioni del lirismo. Che musicista, Haitink. Debutta 86enne alla Scala e crea in poche prove un suono inimitabil­e, implacabil­e, bellissimo. Applausi anche per i solisti Camilla Tillung e Hanno Müller-Brachmann.

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