La meraviglia del Requiem diretto da Haitink
Il Dio di Ein Deutsches Requiem ( Un Requiem tedesco) di Brahms non è misericordioso. È un Dio degli eserciti al quale non ci si rivolge dandogli del tu. Ma ciò non significa che per Brahms sia un Dio lontano, come lo è per Verdi. È piuttosto un Dio oggettivo, della cui esistenza non si dubita.
Tale natura Brahms la rese attraverso una scrittura del pari oggettiva, bachiana, alimentata da una dottrina nel contrappunto che ha pochi paragoni (un certo Schumann, un certo Wagner). È una scrittura che scalda la mente, prima del cuore. Nulla di tormentato, di romantico. E in tale premessa sta racchiusa l’eccezionale grandezza dell’esecuzione del Requiem tedesco guidata da Bernard Haitink a capo del Coro e dell’Orchestra della Scala: un debutto folgorante, che ha lasciato un segno indelebile sia presso i musicisti scaligeri — quali tributi di riconoscenza nei confronti dell’ospite — sia presso il pubblico, che quasi temeva di rompere la magia del silenzio conclusivo con la banalità dell’applauso.
È stata un’esecuzione appunto «oggettiva»: d’acciaio i perimetri formali dei setti brani brahmsiani, asciutti i contenuti espressivi, in quanto volti alla profondità più che all’esteriorità. E quanto emerge, così, la sensibilità umana di Brahms, che appunto non scende sul piano di una generica teatralità ma rimane alta nelle regioni del lirismo. Che musicista, Haitink. Debutta 86enne alla Scala e crea in poche prove un suono inimitabile, implacabile, bellissimo. Applausi anche per i solisti Camilla Tillung e Hanno Müller-Brachmann.