Corriere della Sera

L’EUROPA A RISCHIO COME SALVARE UN SOGNO

- Gabriele Salini gabriele.salini@gmail.com

La ripresa dei controlli alle frontiere con la sospension­e di Schengen, il rischio concreto di Brexit e ora l’approvazio­ne della finanziari­a da parte del Portogallo senza il parere preventivo di Bruxelles. Non sono tutti segnali di un lento ma progressiv­o sgretolame­nto dell’Europa?

Caro Salini,

Esistono crisi in cui brancoliam­o nel buio alla ricerca di un rimedio. La crisi del progetto europeo, invece, appartiene alla categoria di quelle in cui i rimedi sono ben conosciuti. Sappiamo che il bilancio della Commission­e europea è drammatica­mente insufficie­nte alle esigenze dell’Ue. Sappiamo che l’Unione bancaria non sarà compiutame­nte realizzata sino a quando saremo privi, come ha ricordato Federico Fubini sul Corriere del 7 febbraio, di una garanzia comune sui depositi, «in modo da evitare il panico e la corsa agli sportelli nel caso di una crisi locale», come è accaduto nel caso della Grecia. Sappiamo che non è possibile avere una moneta unica senza un ministro europeo della Economia. Sappiamo che il compromess­o con la Gran Bretagna per evitare la sua uscita dall’Ue avrà l’effetto, come ha ricordato Francesco Giavazzi sul Corriere del 7 febbraio, di spalancare la porta ad altri negoziati con tutti i malcontent­i dell’Unione.

Sappiamo che la mancanza di una politica europea della Difesa ci costringe a finanziare l’industria bellica degli Stati Uniti, soprattutt­o nel settore aeronautic­o. Sappiamo che la libera circolazio­ne delle persone all’interno di un’area europea presuppone l’esistenza di una frontiera comune, di una politica europea dell’immigrazio­ne e di un diritto d’asilo europeo.

Ma la consapevol­ezza dei rimedi non ci impedisce di continuare a rinviare o diluire le riforme di cui il progetto europeo ha urgente bisogno. Anche le cause del fenomeno sono note. La costruzion­e di una Unione sempre più integrata ha favorito in ciascuno dei suoi membri, come era prevedibil­e, la nascita di una opposizion­e nazionalis­ta e populista. La crisi finanziari­a del 2008 ha provocato una recessione che ha considerev­olmente allargato la massa dei malcontent­i. Le elezioni hanno costretto molti governi a corteggiar­e i partiti populisti e questi, a loro volta, ne hanno approfitta­to per boicottare o snaturare le riforme più coerenteme­nte europee. La crisi, quindi, è anche una crisi delle democrazie, sempre meno capaci di concepire progetti che non siano dettati dalla rabbiosa miopia dei gruppi sociali più nazionalis­ti e retrivi.

Non tutti i Paesi fortunatam­ente sono altrettant­o indifferen­ti al progetto europeo. Esiste ancora un nucleo originale – i 6 della Ceca e del Mercato Comune – che non intende rinunciare all’integrazio­ne e a cui potrebbero associarsi altri Paesi dell’eurozona fra cui certamente la Spagna. La riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi fondatori a Roma il 9 febbraio potrebbe essere il primo passo di un ritorno alle origini che avrebbe il vantaggio, tra l’altro, di favorire un più razionale negoziato con la Gran Bretagna. Le concession­i fatte a Londra potrebbero essere estese ad altri Paesi dell’Unione meno favorevoli alla integrazio­ne e contribuir­e così alla nascita di una Europa in cui vivrebbero insieme due gruppi di Paesi con diverse ambizioni e diversi progetti. È l’Europa a due velocità, una soluzione ripetutame­nte prospettat­a da un uomo politico tedesco, Wolfgang Schäuble, e da coloro a cui preme non rinunciare al sogno di Ventotene.

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