L’Uber degli architetti Scegliere in Rete la migliore offerta
Dal progetto di casa alla ristrutturazione Così si sceglie in Rete la proposta migliore (da tutto il mondo)
Si chiamano Houzz e Cocontest e sono le prime due piattaforme digitali, in gergo marketplace, che si rivolgono esplicitamente agli architetti avendo iniziato a intermediare offerta e domanda del lavoro di progettazione. Qualcosa del genere promette di farlo anche Amazon che ha cominciato a vendere servizi di progettazione in quattro Stati americani.
Houzz ha sede a Palo Alto in California ed è stata fondata da Adì Tatarko e Alon Cohen e come recita il suo sito «aiuta architetti, designer e imprese edili a costruire il proprio brand, mettendoli in contatto con gli utenti». Secondo i dati forniti Houzz vanta 35 milioni di utenti unici mensili e fornisce una vetrina a un milione di professionisti nel mondo. In Italia siamo arrivati a 65 mila. Cocontest è addirittura una startup italiana creata da Federico Schiano e Alessandro Rossi che dopo contrasti con le associazioni di categoria si è trasferita nella Silicon Valley ricevendo menzioni e fondi. Chi ha bisogno di un’idea per ristrutturare la propria abitazione o l’ufficio mette i dati sul sito, parte un concorso e il cliente sceglie il progetto che per qualità e costi più gli aggrada. Non è tutto: Cocontest propone anche pacchetti di offerta che variano secondo le misure della casa/ufficio allo scopo di «ottimizzare la frontiera prezzo/rendimento».
Al di là delle strategie commerciali delle singole piattaforme è interessante ragionare sugli effetti che possono avere su un mercato come quello italiano che, secondo l’indagine «sullo stato della professione di architetto» conclusa dal Cresme su commessa del Consiglio Nazionale proprio in questi giorni, vede il reddito medio dei 90 mila architetti italiani liberi professionisti rimanere sotto la quota di 17 mila euro (-41% rispetto al precrisi) come effetto di un business — quello della progettazione — che in 10 anni si è dimezzato. Anche nel 2015, nonostante la ripresa del Pil, un architetto su quattro ha subito una forte flessione del fatturato. Richiesti di esplicitare un proprio orientamento il 45% degli intervistati butta il cuore oltre l’ostacolo e sostiene di aver in mente di lavorare all’estero ma nei fatti oggi due terzi del totale non riescono ad avere clienti oltre il proprio Comune e la propria provincia e solo il 6% lavora con l’estero.
Che la tecnologia rappresenti nei prossimi anni il driver della professione è percezione diffusa visto che almeno il 28% del campione è convinto che lo sviluppo di un sito web e di un brand riconoscibile siano la forma di promozione da privilegiare a scapito di formule stantie come eventi e concorsi. I nuovi marketplace mettono però ansia e il 42% li ritiene inevitabili ma inutili se non dannosi in quanto «in grado di aumentare la concorrenza», di ridurre i compensi (34%) e svilire le prestazioni intellettuali (38%) riducendole a mero prodotto commerciale.
È chiaro che un successo di mercato delle piattaforme cambierebbe profondamente i meccanismi di incontro tra domanda e offerta. Non è la stessa cosa di Booking e gli alberghi, di Uber e i tassisti, ma sicuramente si tratta di una innovazione disruptive (traducibile sia come disgregatrice sia come disturbatrice ndr), come si usa dire. Oggi un architetto si muove sostanzialmente seguendo il suo sistema di relazioni ed è questo che definisce e delimita il suo mercato potenziale. Nella maggioranza dei casi, però, si tratta di un network limitato alla prossimità, non aperto ai mercati internazionali nonostante la progettazione abbia un linguaggio universale e globalizzato e quindi si presti facilmente a superare le barriere nazionali e linguistiche. «È chiaro che l’arrivo delle piattaforme digitali crei condizioni e problemi nuovi — commenta Leopoldo Freyrie, presidente uscente del Consiglio nazionale degli architetti — innanzitutto in materia di compensi. Come fa una legislazione nazionale a imporre a un gigante come Amazon di rispettare là tariffe?».
Il secondo riflesso è quello di polarizzare la professione, da una parte l’architetto globale e creativo capace di vincere sul web un concorso dalla parte opposta del mondo e dall’altra il professionista locale che agisce come un service, mette in opera la progettazione di altri e assicura il rapporto con le amministrazioni locali. «Però non sono tanto le differenziazioni professionali a preoccuparmi — dice sempre Freyrie — un’iniezione di meritocrazia non guasta, ma il rapporto con il cliente finale. Chi certifica le piattaforme? Chi garantisce il consumatore non solo sul prezzo della prestazione? Potrebbero essere gli Ordini a svolgere questo ruolo». Vedremo e intanto vale la pena ricordare che Cocontest se ne è andato dall’Italia proprio di fronte a contestazioni su questo punto e a una formale denuncia all’Antitrust.