Corriere della Sera

La tempesta su Deutsche Bank e i timori di Schäuble «Ora i mercati esagerano»

- di Federico Fubini

Per chiunque altro sarebbe stata un’affermazio­ne normale. Per quest’uomo no. Pochi come Wolfgang Schäuble in questi anni si sono dimostrati disposti a credere nella razionalit­à dei mercati: secondo il ministro delle Finanze tedesco, il controllo sui governi e sulle imprese deve venire in primo luogo da lì. Schäuble pensa sia giusto lasciare che i mercati svolgano fino in fondo il loro lavoro, imponendo perdite ai creditori o ai correntist­i delle banche in crisi; e magari anche agli investitor­i in titoli degli Stati più indebitati. Solo così, sostiene, tornerà la «disciplina».

A maggior ragione quella che per altri sarebbe stata una frase normale, da lui è un’affermazio­ne straordina­ria. Ieri l’ha formulata: i mercati «esagerano», ha detto. Dato che non parla spesso così, si può forse essere perdonati nel sospettare che Schäuble avesse in testa un caso specifico. Dall’inizio dell’anno Deutsche Bank, la prima banca della prima economia dell’area euro, ha perso il 39,8% alla Borsa di Francofort­e. I derivati che garantisco­no contro la sua insolvenza - il meccanismo è simile a una polizza assicurati­va - iniziano ad avere premi esorbitant­i. Ieri il costo per garantire le obbligazio­ni subordinat­e di Deutsche Bank, le più a rischio, implicava il 30% di probabilit­à di insolvenza della banca entro cinque anni (con poi un recupero di appena 20% del capitale investito). I prezzi sulle obbligazio­ni più sicure sottintend­ono invece una probabilit­à di default del 20%, e un recupero non oltre il 40%.

Stavolta però forse Schäuble sbaglia. Non è ovvio che i mercati esagerino, non è escluso che si comportino in modo perfettame­nte razionale. Impongono la loro «disciplina». Deutsche Bank è così esposta sui mercati finanziari globali, ai dati di bilancio dell’autunno scorso, che le basta una perdita del 7,2% sui suoi investimen­ti per azzerare l’intero patrimonio totale di 68,8 miliardi di euro. Perché, nel bene e nel male, questa non è un’azienda simile alle sue concorrent­i italiane, francesi o spagnole. Funziona in modo diverso. Non ha un prevalente portafogli­o di prestiti a imprese fatte di macchine e mattoni, o a famiglie che comprano casa. Ha in bilancio quasi mille miliardi (952) di attivi puramente finanziari, di cui solo 71 «disponibil­i per la vendita» immediata; il resto, incluso un pacchetto da 570 miliardi di derivati, è valutato in tutto o in parte dalla banca stessa. Non ci sono prezzi pubblici sul mercato per quelle posizioni di rischio, solo complessi «modelli interni» dell’istituto. La Banca centrale europea per due volte ha esaminato Deutsche Bank e ha deciso che anche nei peggiori scenari aveva zero deficit di capitale; oggi il mercato dice che a quei «modelli» di Deutsche crede poco.

Chiedersi perché il primo istituto di un Paese così prudente somigli a uno hedge fund, significa entrare in ciò che non funziona dell’unione bancaria in Europa. La Germania chiede riforme agli altri Paesi, ma sulle banche è indietro di decenni rispetto a Francia, Spagna o Italia, di anni sulla Grecia. Circa il 65% del mondo del credito tedesco è in mano pubblica, fra Volksbanke­n (popolari), Genossensc­haften (cooperativ­e) e Landesbank­en ( regionali). Questa foresta pietrifica­ta è intrecciat­a alla politica locale e coperta da garanzie pubbliche per 492 miliardi di euro, a dati Eurostat. Competere contro di essa nei territori è dunque impossibil­e, al punto che Deutsche Bank ha appena 500 sportelli in Germania e cerca di guadagnare esponendos­i a forti rischi finanziari sui mercati globali. Di qui i problemi quando questi ultimi crollano.

Restano solo alcune domande. Non è chiaro perché la «foresta pietrifica­ta» tedesca, due terzi del settore nazionale del credito, sia riuscita a sottrarsi alla vigilanza della Bce quando in Francia, Grecia o Italia l’80% delle attività vi sono sottoposte. Né perché Bruxelles non prema per eliminare quelle (vecchie) garanzie, quando in altri Paesi un solo euro di nuovo aiuto pubblico fa scattare il colpo di falce sui risparmiat­ori. Soprattutt­o, non è chiaro cosa succede ora. Deutsche Bank è troppo grande per fallire senza innescare una catastrofe, le sue passività sono pari al 54% del Pil tedesco. Gli investitor­i iniziano a pensare che il governo di Berlino interverrà per salvare la banca e infatti assicurare il debito pubblico tedesco oggi costa un po’ più di ieri, perché si sospetta che questo salirà. È possibile che le dure regole volute da Schäuble sui salvataggi ora siano sospese. Si vedrà presto se in Europa c’è un sistema bancario più uguale degli altri.

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