Corriere della Sera

«Io, rinato a quindici anni dopo 42 minuti sott’acqua Vivo per mio fratello down»

Michi racconta il suo miracolo Ma la protesi per la gamba è ferma a causa della burocrazia

- Simona Ravizza @SimonaRavi­zza

«La mia vita è ricomincia­ta dopo quei 42 minuti senza respirare. Mi rendo conto di essere rinato». Il giovane dal cuore che non batteva più, dato per spacciato a 14 anni dopo un tuffo nel Naviglio Grande, rimasto là sotto per un tempo che di solito condanna inesorabil­mente alla morte, oggi sorride seduto sul divano nella sua casa di Cuggiono, alle porte di Milano.

Dal pomeriggio maledetto, il 24 aprile 2015, sono passati dieci mesi. La sua possibilit­à di sopravvive­re era una su un milione. E Michael ha sorpreso tutti. Il ricordo dell’esperienza vissuta, il racconto del ritorno alla vita e i sogni per il futuro sono parole che scorrono veloci. «Ho avuto molta paura di non rivedere più mio fratello (un bimbo di 11 anni con la sindrome di Down, ndr), la persona a cui voglio più bene al mondo — dice Michi, con un cenno come per chiedere scusa ai genitori —. Quello mi ha dato la forza di guarire e di tornare a casa per lui».

Jeans neri, maglione scuro, capelli sbarazzini e occhiali, Michi si commuove ma senza mai perdere l’entusiasmo. Del suo tuffo nel Naviglio dal ponte di Castellett­o di Cuggiono ricorda solo la voglia di rinfrescar­si insieme agli amici: «Sono rimasto incastrato con il piede in un ramo. Da lì sono partiti i 42 minuti sott’acqua. Quel che è successo da quel momento me l’hanno raccontato». Quando i sommozzato­ri dei Vigili del fuoco l’hanno ripescato, Rossella Giacomello, il medico rianimator­e del 118, si è trovata davanti a un giovane cianotico e in arresto cardiaco: «Intorno a me c’era chi mi diceva di non accanirmi su un cadavere, ma io volevo assolutame­nte continuare la rianimazio­ne — ricorda —. Non potevo credere che un ragazzo morisse per un gioco in una bella giornata d’aprile. La temperatur­a fredda era l’unica cosa che mi faceva sperare (l’acqua ghiacciata ha protetto i centri vitali di Michael, ndr). E a un certo punto il suo cuore ha ridato un segnale».

Michael che scherza con il fratellino, accarezza il gatto nascosto tra i cuscini, si fa preparare un cappuccino dalla mamma, scrive al computer e va sul balcone a fumare di nascosto una sigaretta sono fotogrammi di una vita tornata alla (quasi) normalità. «È successo qualcosa oltre il limite, qualcosa di misterioso — ammette Alberto Zangrillo, primario di Anestesia e Rianimazio­ne dell’ospedale San Raffaele —. Noi medici di solito dobbiamo fare scelte razionali. In quel momento non lo siamo stati. Per fortuna». L’intuizione dei medici è stata di attaccare Michael all’Ecmo, la macchina che si sostituisc­e al cuore e ai polmoni e permette la circolazio­ne extracorpo­rea. Una decisione che gli ha salvato la vita.

I 41 giorni di ricovero al San Raffaele sono ormai lontani: «Appena mi sono svegliato ho chiesto se la Juve aveva giocato e se mi portavano un mojito soda — sorride Michael —. E poi volevo notizie di una bella ragazza con cui dovevo uscire la sera del tuffo nel Naviglio».

La sincerità, prima di tutto. Il suo sguardo s’abbassa. Sugli amici preferisce sorvolare perché, nonostante i moltissimi che gli sono stati vicini, c’è anche chi l’ha lasciato solo: «E non è possibile parlare degli uni, senza ricordare anche gli altri». Michael sa di essere un miracolato, ma non nasconde la fatica delle giornate di riabilitaz­ione che gli hanno permesso di reimparare a muoversi e a parlare, né teme di raccontare le sue debolezze: «C’è da dire che ho perso una gamba — sospira —. E ci sono difficoltà nella ripresa». I medici sono stati costretti ad amputargli l’arto destro per un problema cardiovasc­olare sorto come conseguenz­a dei tubi che gli sono stati infilati nel corpo per attaccarlo all’Ecmo. È l’unico momento in cui interviene anche il padre: «Purtroppo a Michi non è ancora stata applicata la protesi che gli permettere­bbe di tornare a camminare — spiega —. Ci sono ritardi burocratic­i. Nello sbrigare la pratica sono coinvolte due Regioni: Lombardia e Emilia Romagna. A Michael, infatti, la protesi sarà applicata a Budrio, a pochi chilometri da Bologna, dove c’è una struttura di eccellenza. Ma gli uffici Asl della Lombardia non si mettono d’accordo sui codici che devono accompagna­re il pagamento della prestazion­e. Così ora tutto è bloccato». Un’assurdità: Michael, simbolo nel mondo dei traguardi della medicina all’avanguardi­a, resta senza una gamba per la burocrazia, qui nell’efficiente Lombardia governata da Roberto Maroni.

Ma lui non si scoraggia: «Ora penso a cambiare scuola — confida —. Dal liceo scientific­o vorrei passare al linguistic­o (il giovane parla già quattro lingue: italiano, tedesco, inglese e spagnolo, ndr). Mi piacerebbe fare il cuoco oppure l’architetto».

Mi sono svegliato, ho chiesto se la Juve aveva giocato e se mi portavano un mojito soda. E poi di una ragazza con cui dovevo uscire la sera del tuffo Il padre «Per un ritardo fra Lombardia ed Emilia Romagna non può tornare a camminare»

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