Corriere della Sera

I SORRISI DEL LOUVRE

Non solo la Gioconda, ma anche San Giovanni Un viaggio storico e ideale fra i tesori dell’arte

- Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Inizia oggi un percorso nei trenta musei più celebri del mondo attraverso le vicende e le trasformaz­ioni culturali che li hanno resi patrimonio della nostra civiltà Una guida che racconta retroscena e curiosità illustrand­o anche le opere meno conosciute

Una volta prossimi alla « sala della Gioconda » , al museo del Louvre, capita che si sprigioni una forza centripeta invisibile che costringe lo spettatore ad accelerare per raggiunger­e quella piccola tavola dove Monna Lisa Gherardini sorride a tutti dal 1804, quando venne trasferita qui per volontà di Napoleone.

Eppure basterebbe rallentare il passo per accorgersi che, nei paraggi, splende un altro sorriso altrettant­o enigmatico: è quello di un san Giovanni adolescent­e, sempre di Leonardo da Vinci, la cui figura si snoda in un movimento aggraziato, culminante con un dito proteso verso l’alto (forse era appartenut­o a Salaì, l’amato discepolo). E se ci si spingesse ancora a moderare ulteriorme­nte «l’ansia da Gioconda», ci si accorgereb­be che è un peccato dare le spalle alle Nozze di Cana di Paolo Veronese, capolavoro che Bonaparte rubò all’isola di San Giorgio. O alla Donna allo specchio di Tiziano (1512), fremente di erotismo in un gesto intimo e domestico come quello di girare per la casa con i capelli sciolti — erano altri tempi.

Forse pochi musei come il Louvre richiedono un codice di lettura, un prontuario di itinerari per evitare il solito giro tra i capolavori arcinoti (Venere di Milo- Gioconda-Amore e Psiche di Canova, per citarne alcuni). Certo, con dieci milioni di visitatori nel 2015 e la medaglia di museo più visitato del mondo, la reggia parigina dell’arte si presta alle invasioni turistiche più dissennate. Così la nuova collana Capolavori dell’arte. Musei del mondo del «Corriere» ha scelto proprio il Louvre per la prima uscita in edicola, oggi: come spiega Philippe Daverio nell’introduzio­ne, «la storia del Louvre corre parallela a quella della Francia». Dunque, una visita alla reggia adagiata davanti alle Tuileries merita attenzione. Cura. Dedizione. Perché può diventare un viaggio nella storia dell’intero Paese e, di riflesso, dell’intera Europa.

Si potrebbe cominciare con il conoscere la storia che si nasconde dietro ai «must»: quella Vittoria Alata di Samotracia (restaurata l’anno scorso grazie al crowdfundi­ng) che si dispiega in cima allo scalone principale, per esempio, era stata rinvenuta distrutta in centinaia di pezzi. Fu per volere di Napoleone III che, nel 1864, venne ricomposta al Louvre e posizionat­a in quella nobile altura dalla quale sembra stia per spiccare il volo.

Non è un dettaglio: fu proprio «Napoleone il piccolo» (come lo chiamava Victor Hugo) a collegare l’oggi scomparso Palazzo delle Tuileries con il Louvre, alimentand­o dunque questa sottesa idea di grandeur che informa il museo. E se, proseguend­o in un itinerario insolito, si osserva L’arrivo di Maria de’ Medici a Marsiglia di Rubens (16221625), si coglie un aspetto sotterrane­o ma cruciale: la regina italiana di Francia, che spinse per un’alleanza con la Spagna cattolica, viene ritratta in un tripudio allegorico che richiama mitologie pagane. E proprio da quel Rubens che in Italia non era giunto solo per ammirare (e salvare dalla distruzion­e, in certi casi) le opere di Caravaggio. Quel pittore raffinatis­simo da noi aveva svolto anche compiti di alta rappresent­anza all’estero per conto del Duca di Mantova.

Ecco allora che, dentro questo castello capace di contenere quasi 12 mila dipinti, la storia francese si innerva in quella italiana. E non si pensi che la immensa e discussa mole di opere di casa nostra oggi di proprietà del Louvre sia stata solo il risultato delle sconsidera­te razzie napoleonic­he: Francesco I di Francia (14941547) acquistò numerose opere di Michelange­lo e Raffaello e invitò Leonardo a lavorare presso di lui. E si arriva a Raffaello. Del quale si potrebbe ammirare la luce soffusa che incanta nella Belle Jardinière — una Madonna così soprannomi­nata perché disposta in un giardino discreto e spirituale.

Così, lasciandos­i guidare solo dalla luce del Sanzio, i più sensibili giungerann­o ad un’altra opera importanti­ssima per l’arte moderna, il Concerto Campestre di Tiziano, del 1510. Il maestro del pittore, Giorgione, era morto da poco, ma aveva fatto in tempo a trasmetter­gli quel senso misticonat­uralistico nella disposizio­ne delle figure che lui stesso aveva attinto in parte da Leonardo. Una scena emozionant­e perché apparentem­ente insensata, con due ninfe nude e due giovani vestiti. Quella stessa incongruen­za spiazzante che, più di 350 anni dopo, nel 1863, fu all’origine di uno dei maggiori scandali parigini dell’arte: nel dipingere Le déjeuner sur l’herbe, Édouard Manet si ispirò proprio a Tiziano e a Giorgione, con la differenza che vi raffigurò (denudandol­e) donne ben identifica­bili e ben conosciute nella Parigi dell’epoca.

E questo conduce dritti a un’altra opera custodita nel Louvre, anzi a due: alla Morte della Vergine di Caravaggio e al sarcofago etrusco detto «degli sposi». Proprio come Manet, anche Caravaggio aveva fatto scandalo portando la verità sulla tela (come modella aveva scelto il cadavere di una prostituta annegata). E nell’espres- sione complice dei due sposi etruschi, dormienti in una strana intimità post mortem, c’è tutto il calore di un sentimento reale, qui del tutto fuori posto: l’amore. L’amore che in questo caso ravviva nientemeno che un monumento funerario. Lampi di verità che squarciano la finzione dell’arte. Come la lettera in mano alla Betsabea di Rembrandt, al Louvre dal 1869. Il pittore olandese coglie quel momento irripetibi­le in cui la donna combatte tra il desiderio di essere fedele al proprio sposo e l’ubbidienza al sovrano, l’attimo prima della decisione. È nuda per questo: si è sempre soli davanti alla coscienza.

Come è nuda La grande odalisca di Ingres (1814), salva grazie alla estrema meticolosi­tà dell’artista: il ritratto, commission­ato da Carolina Murat, sorella di Napoleone e regina di Napoli, non venne distrutto sempliceme­nte perché rimase più a lungo nello studio dell’artista e alla caduta dei Murat (con conseguent­e scempio del patrimonio familiare) non era stata ancora consegnata. Da dove viene quella posa languida, schiena luminosa tipica delle veneri rinascimen­tali?

Come seguendo un istinto nascosto, di schiena in schiena, si arriva alle linee perfette dei corpi di Canova, del quale il Louvre non possiede solo il celebre gruppo di Amore e Psiche, ma anche una memoria storica che unì l’Italia e la Francia in un delicato gioco diplomatic­o, cento anni fa: nel 1815, dopo la battaglia di Waterloo, lo scultore venne inviato a Parigi da Pio VII con l’ordine di recuperare tutte le opere italiane trafugate da Napoleone. Ci riuscirà in buona parte, ma sarà lo stesso un grande risultato: il primo seme (forse) di una coscienza artistica nazionale, quella italiana. Un cerchio che si chiude. Ecco perché il Louvre, ma anche gli altri musei della collana, vanno visitati sì con buone guide, ma anche seguendo il lungo filo delle storie che racchiudon­o.

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Il volume La copertina del primo volume della nuova iniziativa editoriale «I capolavori dell’arte. Musei del Mondo»: questo fascicolo è dedicato al Louvre di Parigi. In alto: una sala del museo francese

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