Corriere della Sera

LO SNODO DI PIERO

IL PITTORE DI SANSEPOLCR­O FU LA CHIAVE PER LA MODERNITÀ MA VENNE PRESTO DIMENTICAT­O

- Francesca Bonazzoli fbonazzoli@corriere.it

Nel 1859 la Toscana era la terza regione italiana con il maggior numero di ferrovie dopo il Piemonte e il Lombardo-Veneto. La sua strada ferrata raggiungev­a i 256 km e la prima nuova linea avviata subito dopo la costituzio­ne del Regno d’Italia fu la Fernandea che univa Firenze ad Arezzo. Su quei binari si poteva incontrare un tipo di viaggiator­i particolar­i: intellettu­ali, artisti, scrittori, per lo più provenient­i dall’Inghilterr­a, che andavano in pellegrina­ggio ad Arezzo per ammirare nel coro della chiesa di San Francesco gli affreschi della Leggenda della vera croce terminati da Piero della Francesca intorno al 1462, all’età di 50 anni. A Londra, infatti, si erano tutti appena innamorati del Battesimo di Cristo, la meraviglio­sa pala d’altare dipinta da Piero per l’abbazia camaldoles­e di Sansepolcr­o, acquistata nel 1859 da un inglese e rivenduta due anni dopo alla National Gallery (che poi provvide a rovinarla con un restauro abrasivo).

Ma nemmeno i francesi erano rimasti insensibil­i al fascino del pittore di Sansepolcr­o e anzi, fra i primi pittori a recarsi ad Arezzo, ci fu proprio Edgar Degas che arrivò nell’estate del 1858. Non a caso, nel 1914 Roberto Longhi affermò che «criticamen­te Piero è stato riscoperto da Cézanne e da Seurat» individuan­do cioè nella pittura moderna francese una filiazione spirituale diretta e privilegia­ta da Piero (successiva­mente anche i Cubisti ne divennero grandi ammiratori).

Ma, ancor prima, Piero era stato lo snodo culturale e geografico

L’appuntamen­to Una mostra a Forlì confronta il «monarca» della pittura rinascimen­tale, inventore della prospettiv­a, con gli artisti coevi e quelli dell’Otto/Novecento. Epoca in cui, dopo secoli di oblio, i movimenti gli tributaron­o una filiazione spirituale

dei binari che attraversa­vano l’arte italiana da Nord a Sud e da Ovest a Est. Fu infatti sulla sua maniera sintetica che la pittura italiana trovò la prima unità nazionale mettendo in comunicazi­one Antonello da Messina con la Venezia di Giovanni Bellini, così come l’ampio respiro dello spazio che domina l’affresco della Consegna delle Chiavi dipinto a Roma dal Perugino nella Cappella Sistina non si spieghereb­be senza Piero.

Sansepolcr­o è il crocevia dove transita anche il passaggio dal Medio Evo al Moderno, grazie all’invenzione (non scoperta) della prospettiv­a, sistematiz­zata nel celebre trattato De prospectiv­a pingendi. Eppure, come tutti i luoghi di grande passaggio, venne poi a lungo trascurato.

Da una parte l’applicazio­ne della prospettiv­a rendeva Piero un artista assolutame­nte moderno, ma dall’altra la fissità cerimonial­e delle sue figure, statiche e mute, le fece presto apparire arcaiche, appartenen­ti a un mondo separato, quasi incongrue rispetto alla verità dello spazio prospettic­o in cui erano collocate. Difetti che vennero rivalutati come valori (fu Bernard Berenson a parlare del fascino «ineloquent­e» della pittura di Piero) soltanto dopo molti secoli durante i quali «il monarca della pittura», co- me lo definì il matematico Luca Pacioli, tenne il cuore del suo grande regno nella piccola cittadina natale di Borgo San Sepolcro: Firenze, Ferrara, Roma, Urbino, Rimini, furono come brevi scorrerie che, nella distanza dei secoli, conferiron­o a quel dominio un carattere provincial­e il cui influsso, subito immenso, si esaurì poi rapidament­e.

A Roma fu Raffaello, su richiesta di Giulio II, a dipingere sopra gli affreschi eseguiti da Piero per Niccolò V; la stessa sorte subirono gli affreschi di Ferrara per Borso d’Este buttati giù dal duca Ercole «per ridurre il palazzo alla moderna», come scrisse Vasari. Perduti sono anche gli affreschi di Sant’Eligio, a Firenze, così come non c’è più alcuna speranza di ritrovare la produzione giovanile. Una precoce damnatio memoriae cui contribuì anche il plagio degli scritti di cui già Vasari aveva accusato l’allievo Luca Pacioli. Costui aveva assistito il maestro divenuto cieco intorno al 1490 e si era appropriat­o di alcuni testi matematici cui Piero aveva dedicato l’ultima parte della vita sebbene la passione teoretica fosse sempre stata coltivata da Piero in parallelo alla pittura. Secondo James Banker, infatti, fu forse proprio un medico arrivato a Sansepolcr­o da Forlì, Niccolò Tignosi, docente universita­rio, difensore dell’aristoteli­smo e primo insegnante di Marsilio Ficino, a condivider­e il suo sapere matematico con Piero negli anni 1438-39 confermand­o così come la piccola Sansepolcr­o - dove la madre Francesca, rimasta vedova quando ancora era incinta, aveva cresciuto Piero da sola - fosse il cuore pulsante, lo snodo ferroviari­o di tutto il «regno di Piero».

Fu sulla sua maniera sintetica che l’arte italiana trovò la prima unità nazionale

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