«Il mio corpo a corpo con il suo enigma. Irrisolto»
Da 35 anni Ginzburg sostiene una serrata indagine con i suoi simboli. «Lavorava su cose eterne»
Pragmatismo femminile Piero della Francesca, «Santa Apollonia» (1460), Washington, National Gallery of Art, in mostra a Forlì Ginzburg, del quale Adelphi ha appena pubblicato Paura reverenza terrore, ancora una ricerca sul potere politico delle immagini — anche artistiche.
Siracusa, si diceva. «Dipinto su un vaso greco — spiega — vidi un pugnale. Che tornava in uno degli affreschi aretini di Piero. Cominciai così a riflettere sulle sue opere non in chiave stilistica (ovvio: questo non è il mio lavoro) ma in chiave storica, cercando dettagli che inquadrassero Piero come uomo, i suoi legami con il tempo e con le città dell’epoca».
E così, lo storico che ha raccontato i benandanti friulani (i «nati con la camicia» che tra il XVI e il XVII secolo uscivano a caccia di streghe) o Menocchio, mugnaio del 1500 accusato di eresia, ingaggia un corpo a corpo con l’enigma di Piero, cercando di dare un significato a quella fitta e variegata costellazione di simboli misteriosi che il matematico Della Francesca ha disseminato nei suoi lavori: i contatti con il Medio Oriente e il fermento antiturco, la rete degli appoggi alle ricche famiglie italiane, il ruolo del Papato. «Soprattutto nella Flagellazione di Urbino — dice Ginzburg —: enigmatica nella sua composizione divisa in due scene apparentemente non dialoganti». Ma la cosa davvero affascinante è un’altra: il corpo a corpo ingaggiato dal- Intersezioni In alto, la Flagellazione di Cristo (14551460) di Piero; a sinistra, lo storico Carlo Ginzburg (1939) lo storico è stato un’«opera aperta», che nel corso degli anni e delle successive edizioni si è corretta, ampliata, rivisitata. «Credevo di aver provato in maniera incontrovertibile la presenza di Giovanni Bacci in quanto possibile committente della tavola e di Bessarione in quanto possibile ispiratore. Non era così: ma per me la ricerca ha valore pedagogico se è, sì, tesi, però anche autocorrezione». E ancora oggi, Ginzburg ammette di essere ammaliato dal mistero della Flagellazione ( irrisolto, nonostante diverse e disparate tesi, da quella di Ernst H. Gombrich a quella, più recente, di Silvia Ronchey), come anche del Battesimo di Cristo, che sta alla National Gallery di Londra.
«Quella di Piero è una mano che lavorava su categorie eterne, che deviava dal corso storico. Di qui l’impulso, per uno come me, che opera non sulla morfologia ma sui documenti, di restituire agganci con la realtà. Anche se il filtro di Cézanne è stato cruciale per comprenderlo». Già: Piero non lavorava tanto sulla varietà degli oggetti e sulla loro fisionomia quanto sul modo di disporli nello spazio. Sul loro segreto, intimo, posto nel mondo.
Come Cézanne. Così, l’operazione di colto e prolungato corteggiamento che ha impegnato Ginzburg, senza volerlo, è stata la stessa che ha guidato la sensibilità dei tanti novecenteschi ( la mostra di Forlì si concentra su questo) che da Piero hanno attinto sì, una moderna concezione dello spazio, sì la ieraticità delle figure, sì l’uso della prospettiva; ma alcuni, come Campigli o Casorati, hanno distillato da lui anche un privato senso dell’ordine interiore. Calma apparente.
Più volte mi sono corretto sulle ipotesi, ma dipinti come la Flagellazione restano dei misteri