Silvia a martello: « Una storia grottesca
Scatta oggi il processo per chi ha saltato i test antidoping. La Salis: «Macché elusione: fax fuori uso, password errate, aggiornamenti mai giunti a destinazione. Guai a chi ci accomuna a Schwazer»
A scuola, Silvia Salis da Genova, martellista da 71,93 metri, un sesto posto europeo e un ottavo mondiale, era rappresentante di classe. «Raccogliere gli umori dei miei compagni di sventura, oggi che sono un’atleta, ho creduto fosse necessario». Silvia è la portavoce (sindacalista non le piace) del gruppo di 26 azzurri per cui la Procura del Coni ha chiesto due anni di squalifica.
La vicenda, che risale al 2011-2012 ed è scaturita dall’indagine penale della Procura di Bolzano su Alex Schwazer, è complessa e spinosa. Nessuna positività, è bene ricordarlo: l’accusa è aver mal compilato, o non compilato del tutto, il whereabouts, cioè il formulario delle reperibilità per i test antidoping.
Silvia va a processo (sportivo) oggi, insieme a Andrew Howe, Anna Incerti e Andrea Lalli, il giorno dopo il caso-fotocopia di Vincenzo Abbagnale. Una sentenza collettiva che riguardi anche Meucci, Pertile, Donato e Greco è attesa in serata. Tra l’esigenza di non sconfessare la Procura Coni e l’inopportunità di radere al suolo la nazionale di atletica a 176 giorni dai Giochi di Rio, l’impressione è quella di essersi infilati in un vicolo cieco.
Silvia, con che animo varcherà la soglia del tribunale stamane?
«Con la consapevolezza assoluta di essere innocente. Questa dei whereabouts è una vicenda grottesca dal principio. Con la parola doping accostata ai nostri nomi, siamo stati catapultati in un mondo a cui siamo del tutto estranei. Uno choc».
Non parliamo di positività, ma di controlli elusi.
sugli spostamenti mai giunti a destinazione... Altro che macchinazione per evitare i test antidoping».
Perché questa storia ha preso una piega così brutta?
Martellista Silvia Salis ha 30 anni. Martellista, vanta 10 titoli italiani e un oro ai Giochi del Mediterraneo primo interrogatorio in Procura, senza avvocato, era stato una chiacchierata informale. Mai avrei pensato si arrivasse a una richiesta di due anni di stop. Per un’atleta è difficile comprendere. Ma ora voglio il processo, voglio uscirne pulita».
Chiederà risarcimenti per danno d’immagine, eventualmente?
«Sono molto arrabbiata, sono stata sbattuta in prima pagina accanto alla parola doping. Allucinante. È chiaro che tra me e Meucci ci sono livelli di danno diversi: io, finché non riterrò di avere avuto una risposta esaustiva, andrò avanti».
Vi difende l’avvocato Giulia Bongiorno.
«Che, ci tengo a dirlo, ci ha chiesto una parcella che definire simbolica è poco. Siamo atleti, non calciatori. Le fa onore: crede nella nostra causa».
Cosa la fa soffrire di più?
«Avvicinarmi alla mia terza, e ultima, Olimpiade in questa situazione. Allenarsi non è facile. C’è l’aspetto morale: non aver fatto nulla di male ed essere sbattuti in prima pagina. E quello pratico: stare dietro a tutto (avvocati, informative, difesa) dal Sudafrica, dove ero in ritiro sotto le direttive di Paolo Dal Soglio. Un danno a 360 gradi».
La difficoltà più grande?
«L’onore probatorio spetta all’accusato, che non ha fatto niente. Io, dal 2012, ho cambiato tre case. Fax, documenti, mail: non ho più nulla. Situazione complicata».
Ma se il sistema dei whereabouts era così scivoloso e fallace, perché non denunciarlo prima?
«Se lei paga una multa, l’anno dopo torna alla posta per verificare se il pagamento è arrivato ai vigili? Ricevevo mail che dicevano: se sei a posto, ignora questo messaggio. Ero in regola, lo ignoravo».
Perché nessun dirigente federale è finito nei guai con voi atleti?
«Io credo che la Fidal in quel periodo si sia accollata di fare da tramite tra noi e il Coni. Non so nemmeno se le spettasse. Non posso entrare in questa questione».
Qualche suo collega ha detto: Schwazer, positivo all’Epo, torna per andare ai Giochi di Rio e noi, che nulla abbiamo fatto, rischiamo di non esserci per squalifica.
«Se dipendesse da me, chi si dopa andrebbe radiato. Possiamo scandalizzarci perché
Alex devastatore
«Chi si dopa va radiato: Alex non è un eroe, un reduce, non è niente: ha devastato l’atletica»
c’è un regolamento che permette a chi è stato trovato positivo di tornare a gareggiare, ma così è. Da martellista, spesso mi batto contro avversarie che rientrano da squalifiche per doping. Non mi scandalizzo ma in Italia si tende sempre a fare di chi ha sbagliato una vittima del sistema. Schwazer non è un eroe, non è un reduce, non è niente. A Pechino ha vinto, a Londra ha devastato il sistema-atletica. Ma guai a chi accomuna il caso dei whereabouts al suo. Non lo accetto: è una mossa troppo scorretta».