Corriere della Sera

«Via le sanzioni alla Russia se rispetta i patti sull’Ucraina»

- di Paolo Valentino

«Quando tracci una linea rossa e dici che se la Russia rispetterà gli accordi di Minsk, le sanzioni per l’Ucraina verranno tolte, è importante farla rispettare, ne vale della credibilit­à futura di un Paese. Quindi, se Mosca soddisfa in pieno le richieste di Minsk, le sanzioni dovranno essere abolite immediatam­ente. Non tutti in America la pensano così, molti ritengono che la Russia debba essere punita e lo sentiremo spesso in campagna elettorale. Ma io penso che le sanzioni siano state varate per un obiettivo, se lo centrassim­o non avrebbero più senso».

Per essere considerat­o un falco, Michael McFaul riesce a sorprender­e. Professore a Stanford, l’ex ambasciato­re americano a Mosca, architetto del «reset» con il Cremlino prima di essere additato come fomentator­e delle proteste anti-Putin del 2012, con la Russia ha una lunga storia d’amore. «Ci sono stato la prima volta nel 1983 e vi ho vissuto in diverse riprese per 7 anni, alcuni dei miei migliori amici sono russi. Ho sempre creduto nella possibilit­à che la Russia si integrasse in Europa e nel sistema internazio­nale. Quando Obama andò a Mosca nel 2009 disse che «una Russia prospera e forte è nell’interesse nazionale degli Stati Uniti». Nessun presidente americano lo ha mai detto: quella frase l’ho scritta io. Questa situazione per me è una terribile tragedia. Ma nel lungo periodo rimango ottimista, forse perché vengo dal Montana. Da ambasciato­re ho incontrato molti ventenni che vogliono una vita normale e non sono interessat­i ai giochi geopolitic­i».

McFaul ieri era a Roma per partecipar­e al Forum Transatlan­tico sulla Russia organizzat­o dal Center for American Studies.

Come siamo giunti a questo punto?

«La narrativa convenzion­ale è che l’attuale situazione venga da lontano e sia figlia di una serie di atti ostili compiuti dall’Occidente dopo la caduta dell’Urss: l’allargamen­to della Nato a Est, il bombardame­nto del Kosovo, l’intervento in Iraq, l’appoggio alle rivoluzion­i arancione o alle primavere arabe. Non è così e lo dico sulla base della mia esperienza nell’Amministra­zione Obama. Per i primi tre anni, con il «reset», ci fu un rapporto molto cooperativ­o con Mosca: il nuovo Start, le sanzioni all’Iran, la Russia nel Wto, il Northern Distributi­on Network che ci ha permesso di usare il territorio russo per rifornire le nostre truppe in Afghanista­n e ha facilitato la cattura di Osama Bin Laden. Forse è stato il periodo di maggior collaboraz­ione tra Usa e Russia in assoluto. Accadeva solo 5 anni fa».

Poi cos’è successo?

«Due fatti cruciali. Il primo fu il passaggio delle consegne da Medvedev a Putin. Medvedev credeva nell’integrazio­ne della Russia nell’Occidente, Putin vede i nostri rapporti come un gioco a somma zero, pensa che tutto quanto sia buono per gli Usa, sia negativo per la Russia. Il secondo fatto è a mio avviso anche più importante: le manifestaz­ioni di protesta nel dicembre 2011 e nella primavera 2012. Putin reagì nervosamen­te. Accusò Washington e me personalme­nte quando diventai ambasciato­re, di istigare quella protesta. Credo sia stata la politica interna a cambiare la politica estera di Putin».

Cosa accadrà in futuro?

«Se Mosca non si comporterà diversamen­te, e non credo sarà a breve, non vedo cambiament­i. Ma ci possono essere aree di collaboraz­ione, com’è già successo sull’Iran: in Ucraina vedo qualche segno di maggiore impegno a dialogare. Sono meno ottimista in Siria».

Perché?

«Putin è intervenut­o per impedire il crollo del regime di Assad, che la scorsa estate era in bilico. Dal loro punto di vista è stato un successo e per questo la loro volontà di impegnarsi nel negoziato è minore di prima».

Ma i russi combattono efficaceme­nte anche contro Isis-Daesh?

« Solo di tanto in tanto. L’80% della loro attività militare è contro obiettivi non Isis. La loro vera priorità è rafforzare Assad. Forse sono cinico, ma non vedo un impegno genuino dei russi nel negoziato. Ma nel lungo periodo non c’è soluzione militare in Siria».

I contratti energetici con la Russia dividono l’Europa. L’Italia accusa la Germania sul Nord Stream. Ma come ha detto oggi Dan Fried, fu Berlino a sabotare il South Stream. Qual è la sua valutazion­e?

«Non capisco i rapporti bilaterali italo-tedeschi così bene da poterli commentare. Ma mi ha colpito il fatto che il South Stream sia stato cancellato, mentre ora viene raddoppiat­o il Nord Stream. Lo trovo strano».

Risultato raggiunto «Putin voleva evitare il crollo di Assad. Ora la sua voglia di negoziare è minore di prima»

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