L’ESPERIENZA HA VALORE SE SI RIESCE A TRASMETTERE
Siamo materiale umano da abbattere, da demolire? Giovani contro i meno giovani, cervello digitale contro quello analogico, rapidità di esecuzione contro riflessione pacata, ognuno con i suoi circuiti nervosi, con la sua logica. È una retorica, un paradigma che non mi convince; la contesa: il posto di lavoro, il prestigio sociale e la lotta per il potere. Ma alla fine conta ancora o no l’esperienza nel nostro Paese? Vecchie e nuove generazioni si scontrano nei dibattiti, per le idee e per un differente approccio alla vita usando linguaggi, stili di comunicazione diversi e spesso non si capiscono, si contrappongono entrando in conflitto. Ci dimentichiamo che noi apprendiamo e cresciamo grazie alle nostre esperienze, belle o brutte che siano, ma anche grazie a quelle degli altri, alla loro vita e al loro passato. L’esperienza rappresenta per il cervello un po’ il nostro «decoder interno», il lettore della realtà vissuta che poi attraverso la percezione, una sorta di «centralino», smista alla corteccia cerebrale gli stimoli che arrivano dai rispettivi organi di senso, per attribuire loro un significato specifico. Fare esperienza vuol dire, quindi, entrare in contatto col mondo; un percorso di apprendimento continuo che dura tutta la vita, che investe il nostro intero apparato sensoriale ed emotivo. È un patrimonio, una conquista preziosa che realizziamo col tempo, anche commettendo una serie di utilissimi tentativi ed errori, necessari per correggere il tiro. Il mondo del calcio, ad esempio, ci aiuta a capire che i giovani in possesso del talento e della tecnica crescono e si evolvono meglio nell’esercizio del metodo quando interagiscono con i campioni più anziani di maggiore esperienza. I maestri di vita contano soprattutto quando riescono a trasferire al gruppo il loro modo di pensare e agire: una dimensione mentale che si traduce in un atteggiamento di grande aiuto e supporto per il ruolo che si ricopre nei vari contesti.