Dall’estetica del garage al Palazzo del Cinquecento
Il percorso artistico di Massimo Giorgetti, ora alla guidaida del marchio storico. «Quante notti insonni, ma il difficile comincia adessoo»
Un anno di colloqui, ma l’ultima condizione per accettare la direzione creativa di Pucci l’ha posta lui: vedere il palazzo e l’archivio del marchese. «Ero curioso. Sapevo che la mia vita sarebbe cambiata e volevo capire se qui avrei trovato l’energia giusta. C’era l’onore di entrare in un pezzetto di storia della moda, ma anche la paura». Timoroso Massimo Giorgetti? Non si direbbe a vederlo ora muoversi disinvolto nel cinquecentesco palazzo Pucci, in felpa Msgm (il marchio che fondò con quattro amici) e New Balance (è un collezionista di sneaker). Non fa nulla per nascondere il suo accento emiliano. Alcuni lo giudicano naïf ma in realtà è specchio della sua franchezza. Classe 1977, nato a Cesena, cresciuto in campagna, a Longiano. Radici piantate nella terra e cuore rosso: «Un paesino dove eravamo tutti cugini e giocavamo a piedi nudi. Mio padre faceva lavori edili in proprio e mia madre era una specie di veterinario: non sono mai stati a Milano, una sola volta a Roma. Alle elementari seguivo mio nonno che aveva un laboratorio di ricamo; erano gli anni di Best Company e il Charro e io passavo i pomeriggi a guardare le sarte ricamare i loghi a fiori sui jeans. Leggevo solo riviste di moda, ma gli amici mi convinsero ad iscrivermi a ragioneria».
Un ragioniere in passerella: originale.
«Nessuno studio o raccomandazione, una figura un po’ scomoda, direi. Dopo la maturità andai a lavorare nella più bella boutique di Riccio- ne dove guardavo le vetrine quando marinavo la scuola. E poi ho fatto il venditore in show room e a seguire il consulente. Ero anche un dj, per hobby. Ma non avevo il sogno di Milano, dopo le sfilate tornavo al mare e alla mia piadina con la rucola. Nel 2008 con quattro amici pensammo a Msgm e mi trasferii».
Fortunato o bravo?
«Uno non può capire le notti insonni o i pianti o le paure. Mi reputo fortunato solo perché faccio il lavoro che mi piace, perché vivo fra cose belle e viaggio. Ma quello che ho me lo sono conquistato perché ci ho creduto. E adesso i giochi più difficili per restare. Un po’ come negli Hunger Games!».
Come convivono cuore a sinistra e blasone?
«È questo il bello. Dall’estetica del garage al palazzo cinquecentesco. Appena arrivato sono stato travolto da questo stemma d’oro e di stucchi. Ho chiesto di poterlo ridisegnare per farne il nuovo logo. È passato il progetto di uno stagista di vent’anni e ora è su tutti i nuovi accessori, grafico e semplice e sta andando benissimo».
Perché i francesi l’hanno scelta?
«Hanno avuto la visione e la modernità di cercare una persona in contrasto con l’immaginario
legato al marchese. Il palazzo che incontra la strada, insomma, e si fa più accessibile».
D’altronde il marchese Pucci non comincio da un salone da ballo ma da una pista da sci.
«E sono proprio i primi anni, i Cinquanta e Sessanta, che mi hanno colpito. Mentre a Parigi c’era la couture e Dior inventava la giacca Bar, il marchese faceva i leggings, le bluse, le giacche a vento, gli chemisier. Pezzi che ho rieditato sotto l’etichetta Atelier nelle nuove stampe Borracio, Dalia e Monreale e che sogno tornino ad essere
cool come lo sono stati con lui. Non mi interessa se la mia donna è una principessa o un’impiegata, purché si piaccia con i miei abiti che ha scelto stuzzicata dalla sua intelligenza. In questo esce la mia anima di sinistra».
Alla prima sfilata la gente non ha riconosciuto né Pucci, né Giorgetti
«Me ne sono accorto. Per cominciare da zero dovevo far dimenticare quello che era stato Pucci sino a sei mesi prima. E penso di avercela fatta. Al prezzo di parecchie notti insonni. Ora inizia il vero percorso. Ma non rinnego lo show di settembre: c’erano segni del marchese molto forti, era una collezione di pancia, si. Adesso c’è la riflessione e la consapevolezza. Parleremo anche di musica, arte e designer».
Vita privata? (di solito alla domanda nessuno risponde ndr)
«Lavoro e lavoro, fra Milano e Firenze. Esco sempre meno. Ho un compagno che fa lo psicologo e lavora nel sociale, ascoltarlo mi fa stare con i piedi per terra. Vorremmo sposarci, incrocio le dita. Ma se non passerà la legge quando saremo a pranzo con Matteo Renzi (per l’inaugurazione della settimana della moda milanese il 24 febbraio) glielo dirò. E con me dovrebbero farlo tutti. Credo che la moda possa fare molto per la causa, come a suo tempo fece Anna Wintour negli States. Ma sono ottimista».
Maschile, femminile e gender?
«A me le donne piacciono donne, senza dubbio. E questo farò per Pucci. Detto questo, tutto ciò che fa discutere e pensare mi piace».