«L’ispettore Barnaby», il successo di una serie molto British
Ci sono gialli che hanno un effetto rassicurante. Non mi riferisco alla teoria dei colori, ma a un genere. Gli spazi verdi inglesi, i paesi ben conservati, la calma tranquillizzante delle indagini, un certo humour nell’affrontare le avversità della vita. Sì, certo, per essere una contea circoscritta, quella di Midsomer, vi accadono troppi delitti (dietro la facciata di perbenismo si nascondono feroci assassini le cui storie sono un garbuglio di arsenico e vecchi merletti), ma a risolverli ci pensa lui, l’ispettore capo Tom Barnaby.
Per anni, l’ispettore è stato interpretato da John Nettles, il quale, però, compiuti i settant’anni, ha deciso di ritirarsi dalle scene. Al suo posto, come protagonista, è subentrato Neil Dudgeon, nella finzione un cugino di Tom, anche lui ispettore di polizia. Siamo ormai alla sedicesima stagione de «L’ispettore Barnaby» («Midsomer Murders»), la saga del detective creato da Caroline Graham (La7, dal lunedì al sabato, ore 18.20). Il che è un importante indizio per capire il successo tranquillo di questa serie, pare seguita persino dalla Regina Elisabetta e dalla cancelliera Merkel.
L’ispettore Barnaby non è un giallo metropolitano ma ha come scenario la campagna (è stato girato nei dintorni del Buckinghamshire), i villaggi fascinosi, gli abitanti che amano più i cavalli delle persone e vestono con il Barbour verde d’ordinanza. Anche la stupenda campagna inglese, così piena di vita e di tradizioni, è scossa però dal male, sotto forma di omicidi apparentemente misteriosi.
È a quel punto che interviene, con tutta la flemma possibile, il nostro ispettore che tenta di sbrogliare la matassa ricorrendo ora alla tradizionale logica deduttiva del bravo poliziotto, ora a una rude sensibilità da uomo con i piedi per terra. Barnaby ha una grande dote psicologica: ascolta i suoi interlocutori, l’unica strada percorribile per arrivare alla verità.