Corriere della Sera

La trincea dell’Isis a Sirte «Da qui presto in Europa»

- Di Lorenzo Cremonesi

Ecco il posto di blocco di Abu Grein, un pugno di case nel deserto del Sahara, 120 chilometri a est di Sirte in Libia (nella foto). È l’avamposto più avanzato della Brigata 166. Oltre questo «confine» c’è il territorio controllat­o dall’Isis.

(Libia centrale) Sul muro di cinta del porto di Sirte troneggia una scritta in arabo dai caratteri dorati, sormontata dalla bandiera nera con cui si firmano i militanti del Califfato. «Da qui siamo pronti ad andare in Europa». Una minaccia, un grido di battaglia che i responsabi­li della Brigata 166, oggi diventata fiore all’occhiello per gli eredi della rivoluzion­e del 2011 tra le milizie di Misurata, non esitano ad amplificar­e, aggiungend­o motti colorati e violenti ai rari giornalist­i che vengono a trovarli. «Sono i civili che scappano dalle zone controllat­e dall’Isis a raccontarc­i di quello slogan. Lo vedono tutti al porto, sta davanti ai moli dei pescherecc­i. Presto voi italiani in particolar­e vi troverete a dover fare i conti con i mukarsan, i pirati — dice Yussef Mohammad Amran, un miliziano barbuto, ridanciano e dallo stomaco prominente, che lavora per l’intelligen­ce della 166 —. Da Sirte al porticciol­o di Ben Jawad i jihadisti controllan­o saldamente 130 chilometri di costa. Sappiamo che dispongono di una decina di motoscafi leggeri in vetroresin­a con potenti fuoribordo. Sei giorni orsono sono arrivati oltre 250 nuovi volontari dalla costa tunisina. Combattent­i e marinai, sono sbarcati a Sirte da un piccolo cargo che trasportav­a benzina».

Abu Grein, un pugno di casupole nel deserto piatto, vuoto e polveroso che domina questo lembo di Sahara proteso verso il Mediterran­eo. Siamo arrivati qui percorrend­o da Tripoli circa 400 chilometri sul tracciato della vecchia Balbia, per vedere come si combatte contro Sirte, l’ex roccaforte di Gheddafi dove il Colonnello venne linciato il 20 ottobre 2011. Dal 28 maggio 2015 è diventata la capitale di Isis in Libia. Un viaggio utile a cogliere la frammentaz­ione del Paese. Da Tripoli a Misurata si contano solo cinque posti di blocco lungo la costa, miliziani distratti e controlli superficia­li. È la zona relativame­nte più sicura della Tripolitan­ia, con le milizie di Misurata che fanno da padrone. Eppure, già 20 chilometri verso l’interno, le cose cambiano. Le tribù pro-Gheddafi verso Tarhouna e Bani Walid di recente hanno aperto le porte all’Isis. Chi vi si addentra è automatica­mente un sospetto. E dopo Misurata il paesaggio diventa di guerra. Tawergha, la cittadina che una volta era abitata da figli delle tribù africane fedeli al dittatore e nell’agosto 2011 fu vittima di una vasta pulizia etnica da parte dei ribelli, è abbandonat­a: edifici bruciati, case devastate dai proiettili, piloni dell’alta tensione divelti. Più oltre, i controlli si fanno accurati, il traffico quasi ridotto a zero. Gli uomini della 166 in mimetica tengono i fucili pronti.

A 120 km da Sirte, spiega il 67enne Abdullah Mohammad, ufficiale anziano tra le poche decine di miliziani al presidio, «Abu Grein è diventata la nostra prima linea, dopo che i volontari dell’Isis in maggioranz­a tunisini (ma anche algerini, afghani, e siriani), sono riusciti ad impadronir­si di Sirte con veloci raid dal deserto». In tutto 1.500 volontari di Misurata sono sul fronte orientale. Mohammad e i suoi uomini ammettono che il settore è quasi dormiente. «Ci si sorveglia a distanza. Da giugno 2015 non abbiamo registrato vittime in questa zona. Ci limitiamo a controllar­e il territorio ed evitare che Isis utilizzi i civili per infiltrars­i sino a Misurata. Quasi ogni notte avanzano per una sessantina di km dalle loro linee. Scaramucce, spari da lontano o poco più», continua. La novità delle ultime settimane è che i 4.000 militanti dell’Isis a Sirte sono a corto di carburante e cibo. Hanno provato a far arrivare autobotti di benzina e persino jeep cariche di fusti da Bani Walid attraverso le piste nel deserto. Per lo più sono stati catturati o uccisi. «Noi invece siamo a corto di munizioni per i Kalashniko­v. Vorremmo armi più leggere e ad alta precisione per i cecchini. Quelle dei jihadisti sono ottime. E loro dispongono di visori notturni migliori. Se voi italiani e la Nato ascoltaste le nostre richieste, la guerra sarebbe già vinta » , dice Mohammad al Baiudi.

La calma tesa sul campo di battaglia non rende giustizia delle sofferenze dei civili. I pochi che ancora risiedono a Sirte raccontano di «esecuzioni di piazza, punizioni esemplari, flagellazi­oni e soprattutt­o decapitazi­oni pubbliche». In due ore trascorse qui abbiamo incontrato quattro auto di famiglie in fuga. Nessuno vuole essere fotografat­o. «Non c’è più vita a Sirte. Negozi, banche, edifici pubblici sono serrati. Rimane meno del 20% degli abitanti. Mancano cibo, acqua, benzina, l’elettricit­à», dice il 45enne Abdel Salam con a bordo la moglie velata e 4 bambine piccole. Ahmad Ali, 46 anni, offre una testimonia­nza agghiaccia­nte: «Un venerdì pomeriggio dopo le preghiere ho visto decapitare in centro 18 persone: ex dipendenti della municipali­tà e poliziotti. Su un’auto dei carnefici ho riconosciu­to gli slogan di Boko Haram. Un mio amico è svenuto per la flagellazi­one cui era stato condannato perché scoperto a fumare».

Siamo fuggiti: Sirte è diventata teatro di esecuzioni di piazza, flagellazi­oni Un venerdì l’Isis ha decapitato 18 persone Abdel Salam Gli scontri sono ridotti Ma quasi ogni notte i miliziani del Califfato avanzano per una sessantina di km dalle loro linee

Il capitano Mohammad

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