Corriere della Sera

I CITTADINI E IL DIRITTO DI CONTARE

- Di Sabino Cassese

Ivotanti diminuisco­no, i partiti si svuotano, i sindacati divengono afoni. Ha ragione Ferruccio de Bortoli ( Corriere della Sera, 5 marzo 2016) nel rilevare che si apre un fossato tra cittadini e istituzion­i.

Il divario tra «Paese reale» e «Paese legale» — come si diceva nell’Ottocento — è un problema che si riaffaccia periodicam­ente, ma in termini nuovi, in tutte le democrazie. Una volta era questione di ampiezza del suffragio. Conquistat­o il suffragio universale, è divenuto problema di canali di comunicazi­one tra società e Stato, prima tenuti aperti da partiti e sindacati (di lavoratori e di datori di lavoro). Questi hanno sempre meno iscritti, sono meno vitali, meno diffusi sul territorio. Non assicurano, quindi, quella trasmissio­ne di domande sociali alle istituzion­i che costituisc­e il loro compito principale.

Contempora­neamente, nelle istituzion­i, c’è dovunque la necessità di un accentrame­nto dei poteri, imposto dalla globalizza­zione: basti pensare ai diversi vertici europei e mondiali, ai quali non possono certo partecipar­e gli interi governi e che richiedono la presenza dei soli capi degli esecutivi.

Questo malessere, se non crisi, della democrazia, emerge in un momento nel quale, paradossal­mente, l’offerta di istituzion­i democratic­he aumenta, gli stessi partiti si aprono, il «capitale sociale» cresce. Basti pensare alla diffusione mondiale di organismi intermedi, tra Comune e Stato, chiamati Regioni, territori, comunità, per dare un’altra voce ai cittadini.

Basti pensare alla introduzio­ne di elezioni primarie, sull’esempio americano, per aumentare il tasso di democratic­ità degli stessi partiti (che, da strumento della democrazia, divengono essi stessi obiettivi della democrazia) e all’aumento del «capitale sociale», costituito da quelle reti di cooperazio­ne che arricchisc­ono il tessuto comunitari­o e danno occasione ai cittadini di «svolgere la propria personalit­à», come dice la Costituzio­ne. L’apparente contraddiz­ione si spiega in un solo modo: accanto all’aumento di offerta di democrazia, all’apertura dei partiti e alla crescita sociale, si registra anche un aumento della domanda di democrazia. Dopo un ciclo secolare o semisecola­re — a seconda degli Stati — di vita del suffragio universale, i cittadini si sentono padroni e questo fa emergere la debolezza originaria della democrazia moderna: essa è in realtà una oligarchia corretta da periodiche elezioni delle persone alle quali è affidato il potere (democrazia delegata o indiretta). Di qui la ricerca di rimedi, surrogati o alternativ­e. I referendum, che si prestano però ad appelli al popolo di tipo gollista. La democrazia detta deliberati­va, cioè la consultazi­one dei cittadini sulle politiche pubbliche, che però non può esercitars­i su tutte le decisioni e non può condurre a una integrale socializza­zione del potere (un sogno inseguito da varie correnti del socialismo nell’Ottocento e all’inizio del Novecento). Il ricorso alla rete, con tutte le arbitrarie­tà alle quali si presta. In Italia il malessere dei cittadini è più accentuato perché non funzionano male solo i rami alti, ma anche quelli bassi delle istituzion­i, scuole, ospedali, università, trasporti, strade, giustizia. Ne sono un segno i periodici sondaggi sulla fiducia dei cittadini, che mettono in alto forze dell’ordine, chiesa, autorità indipenden­ti e molto in basso amministra­zioni pubbliche, servizi a rete, corti. Giustament­e Maria Elena Boschi ( Corriere della Sera del 6 marzo 2016) punta su «un Paese più semplice e più giusto», perché il malfunzion­amento dei rami bassi produce diseguagli­anze tra chi non può fare a meno di servizi pubblici e chi ha i mezzi per evitare di ricorrere a essi.

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