Corriere della Sera

«Recuperere­mo quel barcone con 400 morti»

- Di Elisabetta Rosaspina

Il capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi al Corriere: «Recuperere­mo il barcone affondato il 18 aprile 2015 nel Canale di Sicilia».

«Non esistono muri in mare, per chi chiede aiuto». L’Europa può decidere di sbriciolar­si, barricarsi, disseminar­e i suoi confini terrestri di filo spinato, per cercare di fermare i profughi, ma in mare vige un’altra legge. Un imperativo morale: «Io non lascio indietro nessuno, neppure un cane» assicura il capo di stato maggiore della Marina Militare italiana, ammiraglio Giuseppe De Giorgi. Che parla fuori di metafora, perché, quando diresse per 72 ore consecutiv­e, alla fine del 2014, le operazioni di salvataggi­o dei 400 passeggeri del traghetto Norman Atlantic, in fiamme nel canale di Sicilia, mantenne gli elicotteri in verticale sulla nave, nonostante il fumo e le fiamme, finché non furono evacuati dal ponte anche gli ultimi esseri viventi: tre cani.

E proprio a uno di loro, il più grosso, l’ammiraglio e la coautrice Daniela Morelli hanno dato voce nel loro libro «S.O.S Uomo in mare» (Giunti Editore) per descrivere quelle notti e quei giorni di paura a bordo del traghetto sempre più rovente, sempre più inclinato, nel mare grosso.

La figura peggiore è quella degli umani che litigano per accaparrar­si i primi giubbotti di salvataggi­o.

«Quando c’è pericolo, molti perdono i freni inibitori. Per questo ordinai subito di calare a bordo un team di soccorrito­ri che ristabilis­se l’ordine. C’erano giubbotti per tutti. Pure per i cani».

Perché il libro, in cui si parla anche dell’operazione Mare Nostrum e del calvario dei profughi, esce in una collana per ragazzi?

«Perché non vorrei che le nuove generazion­i crescesser­o pensando che sia giusto o normale abbandonar­e al suo destino chi fugge dalla guerra, e che si possano respingere e lasciar affogare masse di disperati».

Intanto però a Bruxelles si discute di confini marittimi e di blocchi.

«Non lo so. Noi blocchiamo soltanto i trafficant­i di armi, uomini e droga. Ne abbiamo arrestati seicento con Mare Nostrum, una cinquantin­a con Mare Sicuro. Non esistono muri in mare per chi sta affogare. Non abbandonia­mo neanche i morti. Tra poche settimane, fra la fine di aprile e l’inizio di maggio, la Marina Militare procederà al recupero, da una profondità di 375 metri, dell’intero pescherecc­io carico di immigrati naufragato nel Canale di Sicilia il 18 aprile dell’anno scorso. Nella pancia di quella nave sono intrappola­ti ancora almeno 300 o 400 corpi, stando alle testimonia­nze dei pochi superstiti».

Erano i passeggeri di terza classe?

«Sì, quelli che avevano pagato ai trafficant­i 800 dollari a testa per finire rinchiusi nella stiva, fra le esalazioni di Co2, e a contatto con quel miscuglio di acqua e gasolio, sul fondo, che ustiona atrocement­e la pelle. Ci volevano 1.000 o 1.500 dollari per un posto migliore, sul barcone. Abbiamo già recuperato 169 salme dal fondo del mare, altre 52 le avevamo ritrovate nell’immediato. Ora ci prepariamo a riportarle in superficie tutte. Per tutte è previsto l’analisi del Dna, a tutte deve essere data la possibilit­à di essere identifica­te e restituite alle famiglie».

Dopo più di un anno in mare?

«A 375 metri di profondità, il buio, il freddo, la pressione dell’acqua e la scarsità di fauna contribuis­cono alla conservazi­one

L’operazione Il 18 aprile 2015 un pescherecc­io è affondato nel Canale di Sicilia con 3-400 migranti nella stiva. Il premier Renzi ci ha chiesto di recuperare il relitto e noi lo faremo. Per tutte le vittime è previsto un esame del Dna, in modo da essere identifica­te e restituite alle famiglie

dei corpi. Il presidente del Consiglio, Renzi, ci ha dato l’incarico di recuperarl­i tutti. E lo faremo, a qualunque costo, con robot e sistemi pilotati a distanza».

Da Mare Nostrum a Mare Sicuro, a Eunavfor Med: con i nomi, cambiano gli obiettivi delle missioni?

«I pilastri operativi di Mare Sicuro sono il ripristino dell’uso legittimo del mare, la protezione della sicurezza e degli interessi nazionali, come le piattaform­e petrolifer­e, da possibili attacchi terroristi­ci. Ma anche dei pescherecc­i italiani e dei mezzi di soccorso: è già accaduto che una nave della Capitaneri­a di porto fosse attaccata dagli scafisti ai quali aveva sequestrat­o il barcone. Eunavfor è un’iniziativa europea voluta dall’Italia, ed è servita come bastione per il controllo delle acque internazio­nali, le ispezioni dei mercantili. Un incremento degli obiettivi può venire dalla decisione dell’Unione Europea di passare a una nuova fase e di operare in acque libiche».

Lei che ne pensa?

«Sono valutazion­i politiche in cui non entro. Noi abbiamo in zona la portaerei e nave ospedale Cavour, che ha tutte le capacità di comando e controllo delle operazioni, concepita per interventi di protezione civile. E poi il vecchio portaelico­tteri Garibaldi ».

L’anno scorso si era lamentato dell’insufficie­nza della flotta, delle navi obsolete.

«Ed è servito. Nel 2020 avremo i primi pattugliat­ori polivalent­i d’altura: 136 metri di lunghezza, una piattaform­a innovativa che permette di cambiare rapidament­e configuraz­ione d’impiego, per antipirate­ria, sorveglian­za, ripristino di comunicazi­oni, elettricit­à, acqua potabile, in caso di calamità naturali».

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L’attesa Un migrante salvato nel Canale di Sicilia attende di essere sbarcato nel porto di Messina ( Reuters)
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