Maurizio Molinari analizza la minaccia del fondamentalismo islamico (Rizzoli) Che cosa vuole davvero il Califfato? Conquistare il potere sulle anime
«capitale della cristianità» e la Francia «delle prostitute e delle oscenità», colpita non a caso il 13 novembre 2015.
La scena si apre sul territorio dello Stato Islamico, dalla periferia di Aleppo, martellata per settimane dall’aviazione russa, a quella di Ramadi. Si estende al Kurdistan, nella versione irachena con capitale Erbil e in quella siriana nell’enclave del Rojava; alla striscia di Gaza in mano ad Hamas, con Hezbollah padrone del Libano meridionale e della valle della Bekaa, a chiudere Israele — l’unica democrazia della regione — in una morsa estremista sciita; e poi la mappa delle milizie e dei gruppi etnici quasi sconosciuti nell’Occidente che minacciano, Fajr Libia in Tripolitania, la tribù degli houthi nel Nord dello Yemen, mentre a Sud Mukallah è in mano ad al-Qaida, «senza contare le aree di territorio controllate da Isis nel Sinai, dagli al-Shabab in Somalia, da tuareg e tebu nel Fezzan e da Boko Haram in Nigeria, sulle rive del lago Ciad».
È il nuovo «grande gioco» della diplomazia e della politica contemporanee, che l’autore conosce bene sia per gli anni trascorsi come corrispondente da Bruxelles e da Washington, sia per l’esperienza sul campo in Medio Oriente. La differenza rispetto all’Ottocento e al Novecento è che oggi non c’è un impero anglosassone — prima quello inglese, poi quello americano — capace di tenere sotto controllo il Great Game. E Manca un progetto politico per restaurare l’ordine nelle regioni sconvolte dalla guerra
così le potenze regionali — Egitto, Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran — perseguono ognuna il proprio obiettivo, incapaci di elaborare una strategia comune per fermare la guerra civile islamica, in cui gli estremisti tentano di trascinare l’Occidente, colpendolo per ragioni insieme di strategia e di propaganda. Il