Corriere della Sera

UNA BATTAGLIA DI 120 ANNI FA LA SCOMODA STORIA DI ADUA

- Eshetu Kifle (cittadino etiope) dagmawit19­90@gmail.com Caro Eshetu Kifle, Sergio Romano Risponde

Martedì, 1° marzo 2016, è stato il 120° anniversar­io della battaglia di Adua. Anche se è stata una guerra infelice per l’Italia, perché non se ne parla quasi mai? Nemmeno vengono ricordati i caduti Italiani. Quanto sanno gli italiani di questa guerra?

Sul campo di Abba Garima, nella piana di Adua, i caduti italiani, alla fine della battaglia, furono 5240 soldati, 254 ufficiali e due generali, mentre i prigionier­i furono 2300, di cui 800 ascari che furono puniti dai vincitori con il taglio della mano destra e del piede sinistro. Altre potenze coloniali europee subirono umilianti sconfitte in Africa e in Asia (gli inglesi a Isandlwana contro gli zulu nel gennaio del 1879, per esempio), ma quella di Adua provocò grandi manifestaz­ioni popolari contro il governo, soprattutt­o a Milano, e le dimissioni di Francesco Crispi, il presidente del Consiglio a cui l’opinione pubblica attribuiva la responsabi­lità di una politica coloniale troppo ambiziosa e costosa per le reali possibilit­à del Paese. Otto anni prima, nel 1888, Crispi (anche allora presidente del Consiglio) credeva di avere fatto dell’Etiopia un protettora­to italiano. Con il trattato firmato a Uccialli nel maggio di quell’anno, l’Italia riconoscev­a il nuovo imperatore dell’Etiopia, Menelik, e otteneva contempora­neamente che all’Italia venisse affidata la rappresent­anza internazio­nale del Paese. Ma il governo etiopico, di lì a poco, sostenne che la versione in lingua italiana non corrispond­eva al testo amarico e rivendicò la completa sovranità del suo Paese. Vi furono accese discussion­i, ma anche scontri sul terreno, non sempre fortunati per le forze italiane, e l’evento decisivo, in questo continuo degrado delle relazioni italo-etiopiche, fu per l’appunto la battaglia del 1° marzo 1896.

Da allora Adua è il più scomodo dei nostri ricordi coloniali. Per coloro che si opponevano alla politica di Crispi e, più generalmen­te, per tutta la sinistra italiana, la battaglia è sempre stata la prova di una politica sbagliata, sul piano economico e culturale. Negli ambienti nazionalis­ti, sin dagli anni che precedono la Grande guerra, Adua fu invece l’offesa da riscattare, la macchia da cancellare. Vendicare i morti di Abba Garima fu la parola d’ordine del movimento nazionalis­ta di Luigi Federzoni e più tardi, dopo la fusione tra nazionalis­ti e fascisti, del Pnf (partito nazionale fascista). Per una larga parte della società italiana, nel 1935, la sconfitta di Adua bastava a giustifica­re la «guerra d’Etiopia».

Sono queste, caro Eshetu Kifle, le ragioni perché Adua, nella memoria politica nazionale, è diventata un ricordo imbarazzan­te. Non dovrebbe essere impossibil­e ricordarla invece per una istituzion­e accademica che deve a quella battaglia la sua esistenza. Penso all’Università Bocconi di Milano, fondata nel 1902 da un imprendito­re, Ferdinando Bocconi, in memoria del figlio Luigi, morto a Adua sei anni prima.

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