Corriere della Sera

«Niente colpi alla testa, tracce cancellate» I medici del Gemelli: Failla seduto, Piano colpito al torace dai kalashniko­v. «Uno scempio le autopsie in Libia»

- Rinaldo Frignani

L’ipotesi è che Salvatore Failla fosse seduto sul pick up dei sequestrat­ori quando è stato raggiunto dai colpi di un’arma da guerra (forse un Kalashniko­v) sul lato sinistro del corpo. Colpi singoli che gli hanno fratturato prima un braccio e una gamba provocando­gli poi ferite letali al torace e a un fianco.

Numerosi invece i colpi di fucile mitragliat­ore che hanno freddato il suo collega Fausto Piano. Tutti alla parte alta del busto, ma in questo caso i medici legali del Policlinic­o Gemelli sono riusciti a estrarre schegge di metallo che potranno essere utili per risalire al calibro e al tipo di arma usata. Di sicuro però non ci sono ferite alla testa e quindi viene escluso che i due tecnici siano stati giustiziat­i.

Sono questi i primi risultati degli esami autoptici eseguiti ieri a Roma sui corpi degli ostaggi italiani, dipendenti della Bonatti, uccisi in Libia dopo otto mesi di prigionia in uno scontro a fuoco fra le milizie di Sabratha e i loro carcerieri. Autopsie svolte fra mille difficoltà perché i corpi — giunti mercoledì sera a Ciampino — sono stati consegnati dalle autorità di Tripoli dopo essere stati già esaminati. «Chi ha svolto l’autopsia di Failla non ci ha lasciato molto per poter ricostruir­e come il nostro connaziona­le è morto — ammettono Luisa Regimenti e Orazio Cascio, consulenti della famiglia del tecnico siciliano —: non ci sono arrivati gli abiti, non ci è arrivato il video dell’autopsia e sono stati asportati lembi di pelle attorno ai fori di proiettile che ci impediscon­o di capire se siano d’entrata o d’uscita. E di conseguenz­a da quanti colpi la vittima è stata raggiunta. Così non possiamo stabilire nemmeno la distanza da dove siano stati sparati, né da quale direzione».

«Abbiamo riscontrat­o un taglio sulla schiena sotto al quale c’è una vertebra scoppiata come se fosse stato estratto un proiettile», rileva ancora Cascio anche se, aggiunge Regimenti, «non possiamo parlare di manomissio­ne del corpo ma di un metodo di lavoro diverso dal nostro che comunque ostacola il nostro lavoro».

Nessun rapporto è stato inoltre inviato dai medici libici, ma nemmeno dal medico italiano che avrebbe assistito all’autopsia. Un quadro a dir poco disarmante. «Le nostre perplessit­à si sono rivelate fondate. Non è stata un’autopsia, ma una macelleria», attacca l’avvocato Caroleo Grimaldi che si chiede «come sia stato possibile non individuar­e subito la cella telefonica dalla quale è partita la chiamata registrata alla moglie di Failla da un numero con prefisso libico». Intanto però per il sindaco di Sabratha, Hussein Dhawadi, gli italiani «sono stati uccisi dai loro carcerieri collegati all’Isis prima dello scontro con le forze speciali» (ricostruzi­one esclusa dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni) e l’autista che il giorno del rapimento guidava l’auto con i tecnici della Bonatti, Youssef Yahvah, starebbe «rilasciand­o dichiarazi­oni importanti». Gli accertamen­ti del pm Sergio Colaiocco riguardano

In auto Nessuna esecuzione Sarebbero stati colpiti dai proiettili sul pick-up dei sequestrat­ori

anche la presenza di intermedia­ri che parlassero italiano. E una sospetto arriva da Filippo Calcagno, uno degli ostaggi liberati: «Ci dissero che siccome quelle registrazi­oni (telefonich­e) dovevano essere fatte in italiano, dovevamo stare attenti a non dire altre cose che non fossero quelle che ci venivano suggerite, perché loro dovevano farle sentire a qualcuno».

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