Corriere della Sera

Viaggio a Naraha, unico villaggio nella «no-go zone» I primi abitanti rientrano, ovunque ci sono i rilevatori di radioattiv­ità

- Di Paolo Salom

Sopra, il fotografo Nanni Fontana, autore delle immagini di questa pagina. Nato a Milano nel 1975, si occupa di tematiche sociali e ambientali

Di recente è tornato in Giappone per raccontare il lento ritorno alla normalità del paesino di Naraha, l’unico all’interno della «no-go zone» ad essere stato riaperto ai suoi abitanti dopo il disastro di Fukushima

Iframmenti di una vita che è stata sono ancora lì, immobili, ricoperti di una polvere cinerea e pesante: auto ferme nelle rimesse che probabilme­nte non ripartiran­no più; suppellett­ili abbandonat­e in fretta e furia nelle case, sotto il suono delle sirene che, all’indomani del terremoto-tsunami dell’11 marzo 2011, ordinarono a tutti i residenti di villaggi e cittadine intorno alla centrale di Fukushima che era venuto il momento di fuggire lontano. La centrale, devastata da onde fino a 15 metri, era preda di esplosioni e incendi. La situazione era fuori controllo. Il vulcano invisibile continuava a vomitare radioattiv­ità incompatib­ile con la vita.

Cinque anni più tardi, a Naraha, villaggio compreso nella «no-go zone» — un raggio di 20 km dai reattori nucleari — la vita si affaccia nuovamente. Il governo, considerat­o il calo delle radiazioni, ha consentito il ritorno degli abitanti. Da settembre dello scorso anno, tuttavia, soltanto in 350 su 7 mila hanno deciso di tornare alle loro case. Non è facile avvicinars­i a un sito che, nonostante le rassicuraz­ioni, è tutt’altro che sotto controllo. «Dei quattro reattori coinvolti nelle molteplici esplosioni seguite allo tsunami, almeno tre — dice al Corriere Junji Tsuchiya, sociologo dell’Università Waseda di Tokyo — hanno un problema per ora irrisolvib­ile: il nucleo di combustibi­le nucleare si è fuso e, in tutto questo tempo, è tracimato nell’ambiente sottostant­e. Nessuno dispone delle tecnologie necessarie per recuperare questo materiale».

In effetti, tutti i robot inviati in questi anni dentro i reattori per «fotografar­e» la situazione all’interno del «vascello» si rompono con una regolarità disarmante: le radiazioni sono troppo forti. Ciononosta­nte, la Tepco, società che ha in gestione la centrale, assicura che «in 30-40 anni il sito sarà ripulito e decommissi­onato».

I coraggiosi di Naraha, intanto, scrutano gli onnipresen­ti contatori geiger e si affidano alla forza della volontà.

C’è un problema per ora irrisolvib­ile: il nucleo di combustibi­le nucleare si è fuso ed è tracimato nell’ambiente sottostant­e. Nessuno oggi dispone della tecnologia necessaria per recuperare questo materiale

L’impianto nucleare Daiichi a Fukushima viene illuminato durante un’operazione di decompress­ione, a cinque anni dal disastro nucleare (la foto aerea di Kyodo News è distribuit­a dalla Reuters)

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