Corriere della Sera

Fiori sulla neve al figlio morto «Multa, ora la pista è chiusa»

Cortina, il dramma di Andrea nel 2011. I vigili: no al ricorso del padre

- di Andrea Pasqualett­o

Il processo Condannato a un anno l’accompagna­tore e risarcimen­to di due milioni alla famiglia

Il dosso, il salto e lo schianto. Andrea Rossato morì così sulle nevi di Cortina d’Ampezzo il 5 marzo del 2011. Aveva nove anni ed era un campioncin­o dello slalom. A tradirlo fu un larice che spuntava dalla coltre bianca vicino alla pista del Canalino, sulle pendici della Tofana. Nove anni, una grande tragedia. Che in questi giorni ha avuto due importanti sviluppi: uno giudiziari­o, con la condanna a un anno per omicidio colposo dell’accompagna­tore di Andrea e del gestore della pista, contro il quale il Tribunale di Belluno ha disposto anche un maxirisarc­imento: 2 milioni di euro alla famiglia (non è una provvision­ale, immediatam­ente esecutiva). L’altro sviluppo sa invece di beffa amara.

L’antefatto: sotto quel larice il padre di Andrea, Mauro, due anni fa avrebbe voluto portare un fiore ma non fu possibile perché un agente in motoslitta glielo impedì. Il motivo? Semplice: dopo la tragedia la pista, una nera, è stata chiusa e nessuno può più metterci piede, anzi, sci, pena una sanzione di 56 euro. E il papà, ingegnere mestrino che si occupa proprio di sicurezza sui luoghi di lavoro, è stato così multato. Ne è seguito un ricorso, per ragioni di giustizia e di cuore, nel quale Rossato spiegava che «per raggiunger­e l’albero mi sono addentrato nel bosco all’altezza del punto che volevo raggiunger­e. Sono uscito una ventina di metri più sotto. Sprofondav­o nella neve, così ho messo gli sci per risalire a scaletta». Niente da fare perché ora succede che quel rile corso è stato respinto. Scelta che ha messo all’indice il sindaco di Cortina, Andrea Franceschi. «Ma io non so nulla di questo fatto — spiega al telefono —. Si tratta di una decisione presa in autonomia dal comandante della polizia loca- dopo aver sentito le controdedu­zioni della Polizia di Stato, che aveva comminato la sanzione». Dura lex sed lex, la legge è dura ma è la legge. «Mi avevano portato in un ufficio dove l’ispettore capo mi contestò l’infrazione — aveva raccontato nel corso del processo Rossato —. Ho cercato di spiegare che non avevo percorso la pista chiusa».

Domanda: possibile che di fronte a un padre inconsolab­ile non si potesse chiudere un occhio, sindaco? «Penso che se l’ingegner Rossato ha fatto presente all’agente che era lì per queste ragioni, la vicenda poteva essere gestita diversamen­te. C’è un aspetto emotivo che forse sarebbe stato opportuno considerar­e». Franceschi, dunque, sta dalla parte del papà. Dall’altra c’è l’inflessibi­lità della regola, il rigore, l’articolo violato. «È fatto divieto a chiunque di accedere alle piste chiuse e segnalate come tali», ricordò al padre l’agente in motoslitta.

Dramma nel dramma è invece quello dell’accompagna­tore di Andrea, condannato a un anno. Un amico di famiglia, ingegnere pure lui, che quel giorno si è offerto di stare con il bambino sulle Tofane. Andrea sapeva sciare bene, faceva gare, e l’ingegnere l’ha lasciato andare. «Alla fine avevamo revocato la costituzio­ne di parte civile contro di lui ritenendo che non avesse responsabi­lità ma il giudice, purtroppo, ha deciso diversamen­te » , ha spiegato l’avvocato Renzo Fogliata che con la collega Anna Zampieron assiste la famiglia. L’amico sta vivendo il suo dramma. La famiglia, la grande tragedia. Causata da una pista insicura, una curva, un dosso, un salto di troppo e quell’albero fatale.

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Il bimbo Andrea Rossato aveva 9 anni quando perse la vita sulle piste da sci della Tofana, a Cortina

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