Corriere della Sera

E L’OUTSIDER BERNIE SANDERS SCIVOLÒ SU CUBA

- Di Giuseppe Sarcina mnava@corriere.it

Il dibattito con Hillary Clinton stava andando bene. Poi magari nelle primarie di martedì 15 marzo non lo voteranno, ma l’altro ieri sera molti in platea simpatizza­vano per Bernie Sanders. Il confronto, trasmesso in diretta dalla Cnn, si teneva nel Miami Dade College, in Florida: prima o poi la domanda su Cuba doveva arrivare. I conduttori mandano un filmato un po’ crudele che risale all’8 agosto 1985. È un’intervista a Sanders, che all’epoca era sindaco di Burlington, cittadina del Vermont. Lo si sente parlare con la stessa sicurezza di oggi: «Nel 1961 l’America invase Cuba e tutti erano convinti che Castro fosse l’essere umano più spregevole del mondo. Tutti in America pensavano che i cubani si sarebbero ribellati da un momento all’altro contro Fidel Castro. Ma dimenticav­ano che Castro ha mandato a scuola i bambini, ha dato cure sanitarie a tutti, ha cambiato totalmente la società». Finito il filmato, Sanders, per la prima volta, ha cominciato ad annaspare. Alla fine, nel gelo educato di un’audience composta da tanti latinos e, sicurament­e, anche da immigrati cubani, ha riconosciu­to che «sì, indubbiame­nte quella dei Castro è una dittatura». Poteva chiudere lì e passare ad altro. Il 20 marzo Barack Obama andrà all’Avana: un viaggio che nelle intenzioni del presidente dovrà liquidare l’ultimo frammento di guerra fredda. Sanders avrebbe potuto mettersi in scia, come ha fatto abilmente la sua contendent­e per la nomination Hillary Clinton. Invece ha voluto, come fa sempre, smarcarsi. Ha chiesto la fine ufficiale dell’embargo, che prima o poi avverrà. Non contento ha concluso: «Sì, Cuba è una dittatura, ma ci sono state anche cose buone. L’educazione, i dottori cubani che sono andati in giro per il mondo». Bernie, l’eterno outsider che entusiasma i giovani, scivola goffamente. E non si capisce più se la trasmissio­ne è ancora in diretta o se qualcuno ha fatto ripartire le immagini del 1985, con i mitologici «dottori cubani». Su Corriere.it Puoi condivider­e sui social network le analisi dei nostri editoriali­sti e commentato­ri: le trovi si www.corriere.it ià dire «Job act alla francese» è improprio in un Paese che preferisce consummati­on rapide a fast food e difende la purezza della lingua, al punto da accapiglia­rsi sulla riforma dell’accento circonfles­so. Se rischia di diventare il titolo di una riforma del mercato del lavoro all’italiana, ecco tornare in scena lo psicodramm­a sociopolit­ico che da anni paralizza la Francia e impedisce ai governi di mettere mano a riforme struttural­i — dalle pensioni all’impiego statale — e al risanament­o della spesa pubblica.

Intanto, la disoccupaz­ione resta alta e costante dall’epoca di Mitterrand e la spesa dello Stato — con il concorso determinan­te del «buco» dell’assistenza sociale — veleggia al cento per cento del Pil. (Anche La riconferma Lo scontro rischia di essere decisivo per le residue speranze di rielezione del presidente

ha il sapore di un insulto.

A complicare le cose, la pessima comunicazi­one che ha accompagna­to il provvedime­nto e, di conseguenz­a, una contestazi­one preventiva e ideologica, al di là dei contenuti.

Lo scontro rischia di essere decisivo per le residue sorti di rielezione del presidente Hollande. Da qui al maggio 2017, gli restano poche carte da giocare: il calo della disoccupaz­ione, un po’ di crescita economica, il consenso sulla sicurezza antiterror­ismo e sulle operazioni militari all’estero.

Secondo molti osservator­i, non abbastanza per frenare l’erosione a sinistra e il populismo montante dell’estrema destra. Tanto più che, a destra, Alain Juppé è il favorito alle primarie contro Nicolas Sarkozy. A Juppé cominciano a guardare con interesse anche il centro moderato e ambienti della sinistra riformista. L’ex leader rossoverde Cohn-Bendit propone addirittur­a una grande alleanza che abbracci centro destra e centro sinistra. Una specie di grosse Koalition alla tedesca o di «partito della nazione» all’italiana. Ma attenzione ai ricorsi storici: proprio Alain Juppé, nei panni del premier, dovette arrendersi quando le piazze si opposero alle sue riforme. «Conservazi­one», in Francia, non è solo un termine politico.

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