La strategia: cambiare, salario legato ai risultati
È quotato in Borsa. Fattura 1,1 miliardi, con un utile 2015 stimato sui 69 milioni, e l’indirizzo dei relativi clienti è per il 90% all’estero. È presente in 80 Paesi, ha 34 stabilimenti tra Europa, Asia, America, dà lavoro a 2.400 persone in Italia e ad altre 2.400 nel resto del mondo. L’Alberto Vacchi uomo d’azienda è questo. Il laureato in giurisprudenza che ha
A Bologna Bolognese, un figlio, tra i suoi sostenitori Gianfelice Rocca e Alberto Bombassei
preso la piccola azienda fondata dal padre nel 1961, a Bologna, e ne ha fatto la più classica delle nostre multinazionali tascabili: di quella nicchia (macchine automatiche per il packaging di farmaceutica, cosmetica, alimentare) oggi Ima è il leader globale assoluto.
Dicono che lui — classe 1964, sposato, un figlio — non pensasse a correre per Confindustria nazionale. La sua stessa presidenza a Bologna è sempre stata prima di tutto «impegno su e per il territorio». Poi un giorno Gianfelice Rocca, inutilmente pressato dai tanti che cercano un segnale di discontinuità rispetto a una struttura interna giudicata autoreferenziale, ha pensato che il suo fosse il biglietto da visita giusto. «Perché non lo fai tu?». Vacchi ci ha riflettuto un po’. Ha ricevuto altre sollecitazioni (e l’appoggio, tra gli altri, di Alberto Bombassei). E allora «ok, ci provo».
Visto che oltre Bologna era praticamente sconosciuto, ha cominciato a girare l’Italia. Spiegando che non vuole azzerare tutto, ma cambiare parecchio sì, o nell’era della disintermediazione anche Confindustria rischia l’irrilevanza. E replicando così alle accuse di « contiguità » con la Fiom: «Nella mia azienda il salario è legato al margine operativo. Non si calano le braghe con il sindacato».