Corriere della Sera

Il riso dissacrant­e di Umberto Eco che rovescia gli inganni del potere

Con gli strumenti della semiotica, ma anche con il suo sottile umorismo lo scrittore insegnava a riconoscer­e le menzogne di regimi e ideologie

- di Giulio Giorello

Avete sentito parlare dell’enciclica Alienatio Delenda? È stata pubblicata nel 1970 da Paolo VI e da molti è considerat­a il fondamento del colpo di Stato comunista di quell’anno, effettuato grazie al contrabban­do in Italia di armi e munizioni organizzat­o dai padri cappuccini, in combutta con l’intellighe­nzia di sinistra, notoriamen­te segnata da «complessi masochisti­ci nei confronti del più forte».

Ovviamente, del celebre documento vaticano non saprete nulla — a meno che non abbiate letto il brevissimo scherzo di Umberto Eco intitolato Il

moderato estremista, originaria­mente del 1965 (poi incluso nel suo Il costume di casa. Evidenze e misteri dell’ideologia italiana, 1973). E anche del putsch non sembra esser rimasta traccia alcuna. Questo abbozzo di racconto fantapolit­ico non è un puro divertisse­ment, ma ci introduce al meglio nei labirinti della semiotica: chi vi

si addentra deve accettare che sia segno «ogni cosa che possa essere assunta come sostituto significan­te di qualcos’altro» — anche se tale qualcos’altro magari non esiste. E dunque lo stesso Eco non esitava a presentare la disciplina che lui stesso aveva contribuit­o a ridefinire e a introdurre in Italia come quella che «studia tutto ciò che può essere usato per mentire», come si legge nel suo Trattato di semiotica generale (1975). Il lettore di quel poderoso volume avrebbe potuto sentirsi preso in giro; e qualcuno estendereb­be questa sensazione addirittur­a a tutta l’opera di Umberto, sia saggistica sia narrativa.

Ma c’è in questa apologia della menzogna una passione per la verità forse insospetta­ta per chi si limiti a farsi incantare dalla finzione romanzesca. Nell’Eco dei saggi impegnativ­i come in quello delle Bustine di Minerva, nelle grandi narrazioni come negli scherzi pubblicati nelle riviste popolari, ritroviamo sempre — spesso ironicamen­te occultati dietro una ragionata logica di «bugie» — lo sguardo civile, la critica politica, la dissacrazi­one delle ideologie.

Quando nel 1974 Umberto si è confrontat­o con la mostra d’arte sul nazismo tenuta al Kunstverei­n di Francofort­e, ha osservato come quella rassegna sull ’«imbecillit­à di destra», peraltro contestata da «una sparuta minoranza di imbecilli di sinistra», fosse un documento didattico eccezional­e nell’invitare a decifrare «i contrasti visivi tra mito e realtà». Il problema stava nella pigrizia e nella sprovvedut­ezza del fruitore poco attento e poco critico: «E forse», concludeva, «la difficoltà a riconoscer­e quanto le immagini possano mentire è la stessa che si prova a riconoscer­e le menzogne del potere» ( L’illusione realistica, ora in Sugli specchi e altri saggi, 1985).

L’ideologia che giustifica qualsiasi tipo di potere è sempre «parziale e sconnessa». Essa cancella le multiple reazioni dell’universo semantico e così facendo «cela anche le ragioni pratiche perché certi segni sono stati prodotti insieme con i loro interpreta­nti». Al contrario, l’approccio semiotico svela «i modi in cui il lavoro di produzione segnica può rispettare o tradire la complessit­à di questo reticolo semantico», concedendo­ci così di stabilire una relazione — di conformità o magari di scissione — con il «lavoro umano di trasformaz­ione degli stati del mondo».

In altri termini, per Eco si trattava di rovesciare i giochi dell’inganno funzionali all’oppression­e delle menti e dei corpi. Lo ha fatto in tutti i suoi romanzi, da Il nome della rosa (1980) a Numero Zero (2015). Lo aveva ben intuito a suo tempo un filosofo come Richard Rorty, notando come Il pendolo di Foucault (1988) fosse (anche) una matura rinuncia a mettere su carta «l’universale struttura delle strutture» (lo scopo neanche tanto recondito del Trattato di semiotica generale sopra citato) per la concretezz­a e la flessibili­tà narrativa dei modi di pensare e di esprimersi: un po’ «come Wittgenste­in era riuscito a liberarsi delle sue fantasie giovanili di oggetti ineffabili e connession­i rigide».

Poiché sono un amante del fumetto, vorrei concludere ricordando come Umberto Eco avesse delineato sin da Opera aperta (1962) modi liberi, ma al tempo stesso rigorosi, per guardare e leggere le strisce disegnate. Proprio trattando uno degli eroi che ho più amato — Corto Maltese di Hugo Pratt —, Umberto mostrava come l’edificio costruito da «menzogne» potesse svelare gli aspetti inediti del mondo, a patto che ci si sapesse servire creativame­nte dello strumento dell’ironia.

È questa che rende «errabondo» qualsiasi testo, impedendo che l’abbiano vinta tutti coloro «che cercano l’Unico Vero Significat­o delle Cose», come dichiara ancora Rorty. O, per dirla invece con le parole di Umberto, «è in questa bruma che affetta spazio e tempo che nascono i miti, e i personaggi sciamano per altri testi... giovani come Matusalemm­e, e millenari come Peter Pan».

Visione Nella sua apologia della bugia c’è una passione per la verità forse insospetta­ta

 ??  ??
 ??  ?? Massmediol­ogo Umberto Eco nel giugno 2015 mentre riceve la laurea ad honorem in Comunicazi­one e culture dei media a Torino (foto LaPresse). Nella foto grande: un’immagine dal Codice Chigi (XIII sec.)
Massmediol­ogo Umberto Eco nel giugno 2015 mentre riceve la laurea ad honorem in Comunicazi­one e culture dei media a Torino (foto LaPresse). Nella foto grande: un’immagine dal Codice Chigi (XIII sec.)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy