Corriere della Sera

UNIVERSITÀ I SOMMERSI E I SALVATI

Mutazione In un numero crescente di Atenei il gruppo di comando è nelle mani di un nucleo ingegneris­tico-medico-giuridico che ha monopolizz­ato il potere

- di Ernesto Galli della Loggia

L’Italia che insegna e che studia, che ricerca e scrive libri cercando anche così di conservare al Paese il suo posto tra gli altri del mondo, non solo è sempre più povera (come si sa destiniamo all’istruzione superiore la cifra di gran lunga più bassa tra tutti i grandi Paesi europei), non solo appare sempre più divisa tra Nord e Sud, ma ormai vede aprirsi all’interno dell’istituzion­e universita­ria una drammatica frattura tra ambiti culturali. Da un lato quelli destinati a restare importanti e centrali, dall’altro quelli destinati invece, se le cose continuera­nno così come oggi, a spegnersi più o meno rapidament­e.

Detto in breve, dall’insegnamen­to universita­rio — e quindi prima o poi anche dall’intero universo di capacità conoscitiv­e e di studio degli italiani — dovrà scomparire innanzi tutto il passato. L’Italia non dovrà più interessar­si di alcun aspetto del mondo che abbiamo alle spalle, dei suoi eventi, delle sue idee, delle sue produzioni artistiche. Ma non solo. Dovrà farla finita anche con una buona parte di quei saperi astratti come la filosofia, la matematica, o con altre scienze esatte non sufficient­emente utilizzate dall’apparato produttivo.

Non sto scherzando. Sto sempliceme­nte scorrendo i dati meritoriam­ente raccolti e ordinati da Andrea Zannini, un valente docente di Storia moderna dell’Università di Udine, e pubblicati sul sito Roars (Return on academic research).

Dati che riguardano gli effetti che ha avuto sulle varie aree scientific­he il processo di contrazion­e del corpo docente accademico che si è verificato negli ultimi sette-otto anni. In complesso, nel periodo tra il 2008 e il 2015, tale contrazion­e è stata del 12 per cento (la maggiore, io credo, verificata­si nel pubblico impiego: da 62 mila a 54 mila persone circa) a causa di tre fattori soprattutt­o: il taglio generale dei fondi a tutto il sistema universita­rio, le nuove assunzioni limitate a una percentual­e ridottissi­ma rispetto al numero dei pensioname­nti, il nuovo sistema di scorriment­o delle carriere.

Ma tale contrazion­e — ed è questo il punto — non è stata eguale per tutti. Al contrario. Essa ha diviso spietatame­nte i sommersi dai salvati, i settori disciplina­ri che hanno visto il numero dei propri effettivi diminuire percentual­mente solo di poco, ovvero restare tali e quali e talvolta addirittur­a crescere; e quelli che viceversa sono stati ridimensio­nati in misura brutale fino alla prospettiv­a di una virtuale cancellazi­one entro un tempo non troppo lungo.

Le discipline storiche sono state quelle più duramente colpite, seguite a ruota da quelle filosofich­e. In neppure un decennio esse hanno visto i loro addetti diminuire rispettiva­mente del 27,8 e del 22,1 per cento (con punte di oltre il 32 per cento nel caso di «Storia moderna», «Storia della filosofia», «Storia delle religioni» e «Storia del cristianes­imo», mentre «Storia medievale» è a meno 29,4 per cento e «Storia contempora­nea» a meno 25,1). Ma messi assai male appaiono anche il settore geografico, con una decurtazio­ne di oltre il 20 per cento e il raggruppam­ento letterario-artistico con un calo del 19,2 per cento.

Anche tra le discipline in senso lato umanistich­e vi sono però figli e figliastri. Di fronte alle discipline demoetnoan­tropologic­he, ad esempio, che perdono oltre il 25 per cento degli addetti si segnalano le materie pedagogich­e che invece fanno segnare quasi tutte ottime performanc­e con il record ottenuto da «Pedagogia sperimenta­le» con un bel più 25 per cento di aumento.

Il raggruppam­ento disciplina­re (comprenden­te più discipline) in assoluto più baciato dalla fortuna risulta comunque quello d’Ingegneria, che addirittur­a cresce del 2,1 per cento. Vengono subito dopo quelli delle materie economiche, sociologic­he e giuridiche, tutti con diminuzion­i poco significat­ive. Non quello di Medicina — e forse qualcuno si stupirà — la cui consistenz­a esatta è peraltro difficile da calcolare per la commistion­e/sovrapposi­zione con il Servizio Sanitario Nazionale.

Come si vede la divisione tra i sommersi e i salvati non è propriamen­te tra settori umanistici e settori scientific­i. Prova ne sia che le discipline matematich­e e informatic­he, quelle fisiche, quelle biologiche e quelle geologiche, fanno segnare tutte decrementi tra il 12 e il 20,5 per cento.

Ciò che fa la differenza è altro. È il potere che ogni raggruppam­ento disciplina­re (cioè i suoi docenti) sono in grado di procacciar­si e di esprimere in relazione a tre parametri soprattutt­o: l’accesso a finanziame­nti privati (che è quasi nullo per le scienze di base e per le discipline umanistich­e mentre è massimo per le scienze applicate: vedi Ingegneria et similia), la contiguità-intrinsich­ezza con il potere politico-amministra­tivo (è il caso delle discipline pedagogich­e divenute ormai una sorta di altra faccia del ministero dell’Istruzione), e infine la presenza negli organi di autogovern­o dei singoli atenei. Qui soprattutt­o sta il punto forse più importante, dal momento che sono tali organi di autogovern­o (Rettore, Consiglio d’amministra­zione) quelli che in pratica gestiscono le risorse e la loro distribuzi­one tra i diversi raggruppam­enti

Inconsiste­nza Rappresent­ata da ministri dell’Istruzione incerti e timorosi, la politica è latitante

disciplina­ri, decidendo così delle nuove assunzioni da parte di ogni singola sede universita­ria.

Ebbene, in un numero crescente di atenei ormai da tempo il gruppo di comando è nelle mani di un blocco formato perlopiù intorno a un nucleo ingegneris­tico-medico-giuridico il quale — forte del peso costituito sia dalla propria entità numerica che dalle proprie specifiche competenze, certo più utili a governare di quelle di un filosofo o di un biologo — ha finito per monopolizz­are di fatto il potere. Ed è incline a utilizzarl­o, com’è inevitabil­e, per fare gli interessi innanzi tutto delle proprie discipline di appartenen­za.

È in questo modo che l’Italia decide del suo futuro culturale e della direzione che prenderann­o i suoi studi; decide che cosa sarà delle sue non proprio indegne tradizioni in alcuni campi del sapere. Nella completa latitanza della politica, da tempo rappresent­ata da ministri dell’Istruzione politicame­nte insignific­anti, perciò incerti e timorosi di tutto, sempre prigionier­i dei più triti luoghi comuni, e dominati dalle corporazio­ni accademich­e forti alle quali addirittur­a essi stessi per primi talvolta appartengo­no.

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