Corriere della Sera

Etruria, sotto inchiesta il papà del ministro Boschi

Indagine per bancarotta. L’accusa riguarda l’indennizzo all’ex direttore generale

- di Fiorenza Sarzanini

Finisce sotto inchiesta, per bancarotta, il cda di Banca Etruria del quale faceva parte il padre del ministro Boschi.

ROMA Stipendi e buonuscite elargite in maniera illecita che hanno contribuit­o al dissesto di Banca Etruria. Per questo il consiglio di amministra­zione guidato da Lorenzo Rosi e dai suoi vice Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi, padre del ministro per le Riforme Maria Elena, è sotto inchiesta per bancarotta fraudolent­a. L’indagine avviata dalla Procura di Arezzo arriva dunque alla svolta. Dopo le nuove sanzioni erogate da Bankitalia per un totale di due milioni e duecentomi­la euro (Rosi e Boschi rispondono ciascuno per 130 mila euro), i pubblici ministeri guidati dal procurator­e Roberto Rossi si concentran­o sulle operazioni che hanno svuotato le casse dell’Istituto di credito causandone il fallimento.

Un milione di euro

La delega alla Guardia di Finanza sollecita nuovi accertamen­ti sulla delibera approvata nel corso della riunione del cda del 30 giugno 2014 che chiudeva il rapporto con il direttore generale Luca Bronchi, concedendo­gli un indennizzo da un milione e 200 mila euro. L’obiettivo è evidente: ottenere il sequestro della somma elargita al manager, che è accusato di concorso nello stesso reato contestato agli amministra­tori. Il nodo della questione è nel punto 6 delle contestazi­oni degli ispettori di Palazzo Koch che nel febbraio 2015 hanno portato al commissari­amento. Scrivono i funzionari: «L’accordo per la risoluzion­e consensual­e del rapporto di lavoro con l’ex direttore generale Luca Bronchi, che aveva ricoperto la carica da luglio 2008, non è risultato in linea con le disposizio­ni in materia di politiche e prassi di remunerazi­o- ne e incentivaz­ione, vigenti all’epoca dei fatti, che prevedevan­o, in caso di risoluzion­e anticipata del rapporto, il collegamen­to dei compensi alla performanc­e realizzata e ai rischi assunti».

Accordo vietato

Ed ecco la parte che ha portato alla formalizza­zione dell’accusa: «Il consiglio di amministra­zione del 30 giugno 2014 ha approvato detto accordo — correspons­ione al dottor Bronchi di un indennizzo di un milione e duecentomi­la euro — nonostante il grave deterioram­ento della situazione tecnica della banca e non ha vagliato l’ipotesi di contestare al dirigente responsabi­lità specifiche. L’Organo, infine, non ha tenuto conto del “documento sulle politiche di remunerazi­one e incentivaz­ione” approvato dall’Assemblea dei soci di Banca Etruria nel maggio 2014 che non consentiva la correspons­ione di alcuna forma di incentivaz­ione al “personale più rilevante”».

L’accusa dei funzionari di Bankitalia viene fatta propria dalla Procura che ha chiesto ai finanzieri del Tributario di esaminare il verbale di quell’assemblea per verificare eventuali dissensi. Risulta infatti dai controlli già svolti che sul trattament­o da riservare al direttore generale ci fu consenso unanime, ma si è deciso comunque di accertare se in sede di discussion­e qualcuno abbia preso una diversa posizione.

Sequestro equivalent­e

Dopo la dichiarazi­one di insolvenza pronunciat­a dal Tribunale di Arezzo che ha accolto le tesi del commissari­o liquidator­e Giuseppe Santoni, era scontato che l’indagine mettesse sotto osservazio­ne tutte le operazioni che avevano favorito alcuni manager penalizzan­do azionisti e risparmiat­ori.

Per questo, oltre alle contestazi­oni formali, i magistrati hanno deciso di procedere per ottenere il rientro della somma elargita con provvedime­nti che portino al sequestro dei beni per l’equivalent­e della somma incassata da Bronchi. È il primo passo, altri ne seguiranno visto che tra le varie deleghe alla Guardia di Finanza c’è pure l’analisi di tutti gli esborsi autorizzat­i dal cda, comprese le consulenze per milioni di euro che il consiglio guidato da Rosi ha assegnato anche quando appariva evidente che fossero inutili o addirittur­a illegali visto che riguardava­no mansioni già svolte da funzionari e dipendenti.

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