Corriere della Sera

Quel segno meno in Italia

- Di Federico Fubini

Da quando un secolo e mezzo fa l’Italia si è unificata, per due terzi del tempo le annate si sono infallibil­mente chiuse con un saldo dello stesso segno: erano emigrate dal Paese più persone di quante non ne fossero arrivate da fuori. Dal 1861 a oggi la popolazion­e è più che raddoppiat­a quasi solo grazie alla sua fertilità. Ora però che le nascite sono ai livelli più bassi dall’Unità d’Italia, la popolazion­e rischia di diminuire in modo sostanzial­e se è vero che il 2015 è tornato a essere un po’ come il 1875, il

Meno 300 mila Perdiamo fino a 300 mila cittadini all’anno: un calo del Pil dello 0,3%

1912 o il 1960. E sembra proprio che sia andata così: probabilme­nte l’anno scorso è stato uno dei cento della storia unitaria durante i quali le donne e gli uomini partiti oltre confine sono risultati più numerosi rispetto ai nuovi immigrati arrivati fin qui.

Era dall’inizio degli anni 70 che non succedeva, non come evento di massa. In realtà i dati dell’Istat, l’Istituto statistico italiano, smentiscon­o che le uscite dal Paese abbiano superato gli arrivi: il «saldo migratorio» fra persone che si stabilisco­no nel Paese e quelle che lo lasciano è sceso negli ultimi anni, però resta positivo. Ufficialme­nte, contando gli sbarcati di Lampedusa, l’anno scorso sono venute ad abitare in Italia 128 mila persone in più di quante non ne siano andate altrove.

Resta un dubbio: i dati ufficiali dei Paesi di destinazio­ne dei migranti italiani raccontano una storia diversa. I deflussi potrebbero essere almeno due o tre volte più intensi di quanto non si creda: l’Istat non mente, solo che dispone di informazio­ni incomplete. Negli ultimi due anni l’emigrazion­e fuori dall’Italia potrebbe essere diventata così rapida da spiegare una buona parte del ritardo nella crescita economica sul resto d’Europa.

Questo bagaglio di storia e cifre non turbava Livia Rodà, 32 anni, laureata in Lettere, quando all’inizio dell’inverno si è seduta davanti a un funzionari­o del dipartimen­to del Lavoro a Londra. Dopo un decennio in un’agenzia pubblicita­ria di Padova, doveva sostenere un colloquio per ottenere il National Insurance Number — il codice fiscale — e poter così

iniziare a lavorare nel Regno Unito.

Durante soggiorni sempre più lunghi nell’ultimo anno, Rodà ha capito che a Londra le è più facile realizzars­i. Da mesi si è dichiarata alle autorità locali, vive in affitto con un contratto registrato, ha rapporti di lavoro regolari. Resta un passaggio che per ora ha rinviato: avvertire le autorità dell’Italia che non vive più lì. Non è obbligata a farlo e — spiega — alcuni dei suoi amici lavorano a Londra da cinque anni ma si sono iscritti all’Associazio­ne italiana dei residenti all’estero solo da pochi mesi. La burocrazia dello Stato di destinazio­ne sa da un pezzo che c’è una nuova persona, ma quella dello Stato d’origine non si è mai accorta che ne ha persa una.

Germania, Gran Bretagna e Svizzera sono le prime mete per gli italiani che vanno all’estero e, secondo l’Istat, negli ultimi anni hanno assorbito circa un terzo dei nostri migranti. Sono anche i Paesi con i dati di migliore qualità sugli afflussi di italiani. Anche se non cancella la sua vecchia residenza italiana, chi arriva in Germania, nel Regno Unito o in Svizzera deve registrars­i subito per poter ottenere il codice fiscale, l’assistenza sociale o il medico di famiglia. E i numeri sugli immigrati italiani in mano alle amministra­zioni di Berlino, Londra e Berna sono in media tre volte e mezzo più alti di quelli che registra l’Italia (vedi grafico). La Germania è il caso più estremo: secondo l’Istat sono poco più di 17 mila le persone trasferite­si verso la Repubblica federale nel 2014, ma l’omologa agenzia tedesca ne conta oltre quattro volte di più. Se tutti i migranti italiani si comportass­ero come quelli che vanno in Germania, in Svizzera e nel Regno Unito, l’anno scorso ne sarebbero usciti dal nostro Paese 435 mila. E se anche fossero stati più disciplina­ti nel segnalare il cambio di residenza, potrebbero facilmente essere stati il triplo dei 145 mila segnalati dall’Istat e dunque ben più dei 273 mila stranieri arrivati.

Ciò significa che l’Italia già oggi sta perdendo forse anche 300 mila residenti l’anno, se si conta anche il crollo della natalità rispetto ai decessi. Sarebbe una perdita di circa lo 0,3% del Prodotto interno lordo solo in consumi, in una sorta di spirale: la crisi spinge i lavoratori fuori dall’Italia, ma la loro uscita aggrava la crisi e ne spinge ancora altri verso la porta d’uscita. Non sono migranti con la valigia di cartone, la loro non è un’epopea di pane e cioccolato e la si avverte appena come un rumore di fondo in un Paese segnato dal dibattito sull’«invasione straniera». Intanto Livia Rodà resta con un dubbio che la logora: dovrebbe cancellare la sua residenza di Padova. «Ma mi sono data un altro anno di tempo», confessa. «Recidere i legami è delicato».

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy