Corriere della Sera

Con la sentenza in favore di Hulk Hogan (115 milioni di dollari) si apre una nuova era per i media Usa: la fine di scandali e gossip?

- Massimo Gaggi

immagine e sofferenze psicologic­he per una diffusione di immagini fatta non a fini di informazio­ne ma per massimizza­re gli introiti pubblicita­ri. Grottesco per grottesco, gli avvocati si mettono a litigare anche sull’entità di questi profitti. Poi tocca all’ex direttore, Daulerio, che non trova di meglio che scandalizz­are la giuria scherzando sui video porno dei pedofili.

Alla fine, tra l’ambigua figura del «danneggiat­o» Hulk Hogan e Nick Denton che nega ogni diritto alla riservatez­za almeno per le «celebrity» fino al punto di dirsi orgoglioso della capacità di Gawker di infiltrars­i nel loro privato, la giuria sceglie di tutelare la privacy. E lo fa con una pesantezza senza precedenti andando addirittur­a oltre l’abnorme richiesta del wrestler: 55 milioni per il danno economico arrecato ad Hulk, 60 per compensare lo stress psicologic­o subito da Bollea. E il conto salirà ancora perché ora il giudice aggiungerà agli indennizzi una punizione pecuniaria.

Nick Denton, fondatore e capo di un gruppo che, nato nel 2002 con un paio di blog e due collaborat­ori pagati 12 dollari a pezzo, oggi ha sette testate digitali e 260 dipendenti, era già corso ai ripari durante il processo, vendendo una quota di minoranza a un fondo d’investimen­to, Columbus Nova Technology Partners: il ricavato è stato accantonat­o per pagare gli indennizzi in caso di condanna. Ma una punizione di una simile entità è in ogni caso finanziari­amente insostenib­ile. Farà giurisprud­enza? Gli esperti dicono che a incidere davvero sono i giudici d’appello, più che le giurie popolari: riflettori accesi sul secondo grado di giudizio, quindi. Ma intanto, per affrontare l’appello, Gawker dovrà versare una cauzione di 50 milioni di dollari (che non ha), a meno che il giudice non fornisca una sorta di dispensa alla società.

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