Corriere della Sera

IL POTENZIALE DEFLATTIVO DELLE NUOVE TECNOLOGIE

SCENARI

- Di Massimo Sideri

Gli effetti economici della tecnologia devono essere ancora compresi: se già Keynes, nel 1930, si poneva la domanda sulla cosiddetta «disoccupaz­ione tecnologic­a», 86 anni dopo stiamo ancora dibattendo su cosa accadrà al lavoro con i robot e l’intelligen­za artificial­e. Ma una cosa appare sempre più chiara e, non a caso, è stata sottolinea­ta anche recentemen­te dal presidente della Bce, Mario Draghi: la tecnologia si sta mostrando un potente deflattore ed è una delle variabili chiave da monitorare soprattutt­o in Europa, prima area ad avvicinars­i agli scogli dei prezzi negativi. Non è immediato comprender­e come operino le forze deflattive grazie alla Rete in quanto queste agiscono al di fuori del perimetro consumisti­co. Lo smartphone, per esempio, ha creato un bisogno che non esisteva entrando nel paniere dell’inflazione. Tutti lo vogliamo e il prezzo non è certo quello di un bene comune. Ma se i prodotti come lo smartphone possono alimentare una spinta inflattiva, la Rete spinge in direzione opposta: fin dagli albori il suo più rivoluzion­ario effetto è stato l’abbassamen­to del costo di transazion­e. Il web disinterme­dia, riduce all’essenziale la catena di distribuzi­one del valore, aggredisce i prezzi dei servizi (oggi un abbonament­o mensile a Spotify costa come un unico cd) e, dunque, i salari. Chi se n’è accorto in anticipo ha creato imperi, occupato spazi, eliminato concorrent­i.

Gli effetti positivi non mancano: è grazie a questo fenomeno che dei ragazzi possono avviare delle start up con poche decine di migliaia di euro. Ma allo stesso tempo questo meccanismo ha ridotto le spinte alla base della crescita dei prezzi che si basano fondamenta­lmente su due forze: la domanda di beni e i salari. Se l’inflazione, come pensava Federico Caffè, è anche l’espression­e della propension­e delle classi sociali a scaricare sul vicino le tensioni, la tecnologia potrebbe apparire un naturale calmiere degli equilibri economici, fino a quando non spunta la deflazione. Prendiamo come esempio la nuova efficace economia della condivisio­ne. Lo scontro tra taxi e Uber ha attirato l’attenzione per le proteste dei tassisti incapaci di cogliere il cambiament­o: ostinarsi a non volere usare la forza delle «app» corrispond­e a usare un profilo quadrato quando è stata scoperta la ruota. Ma una cosa è vera: la nuova economia crea opportunit­à, non stabilità. Quando i fondatori di Uber o di Airbnb parlano di «posti di lavoro» modificano i lemmi: affittare una stanza con Airbnb può aiutare il ceto medio ad arrotondar­e lo stipendio ma non può garantire delle rendite. Già oggi negli Usa UberX è considerat­o un valido ammortizza­tore sociale tra un’occupazion­e e un’altra. Minori salari corrispond­ono a minore propension­e al consumo e, infine, a minore inflazione da domanda. È il cane della tecnologia deflattiva che si morde la coda. E dovremo sempre di più farci l’abitudine.

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