Catalogo dei nostri luoghi comuni: c’è poco da ridere
C’è un mondo, là fuori, infido e pericoloso, che ti accoglie con aggettivi come accecante («lo è sempre la luce dei riflettori»), dilagante («lo sono l’ignoranza, la maleducazione e la stupidità. Ma non da oggi. Infatti nel frattempo sono dilagate»), insopportabile («l’afa lo è sempre»), ecosostenibile («tutto dovrebbe esserlo anche se nulla lo è più»), inguaribile («lo è il male e sempre l’ottimista»). Un mondo dove le parole vanno preferibilmente in coppia, a volte in gruppi, per accerchiarti meglio e stordirti di banalità. La sciatteria del linguaggio come spia della pochezza del sentire, la violenzadel pregiudizio che si perpetua, la comicità nascosta nei modi di dire più abusati.
Offre vari livelli di lettura questo Mi sono perso in un luogo comune (Einaudi), dizionario contemporaneo in cui Giuseppe Culicchia inscatola la nostra stupidità quotidiana sul modello del Dizionario dei luoghi comuni di Gustave Flaubert (a proposito, «ricordarlo solo per aver detto: Madame Bovary c’est moi»). Culicchia, scrittore radicato a Torino, non fa mancare piccole incursioni nella sua città (in particolare gli sta a cuore sottolinearne la propensione alla movida) per proiettare su scala globale insensatezze e superficialità, perché, come è noto a chiunque, «tutto il mondo è paese».
Così l’Isis è «il male assoluto», a patto di non chiedersi dove si procuri armi e esplosivi; la voce Banca rimanda alla voce Usurai; a far venire il cancro ci sono una serie di alimenti dalle patate fritte alla carne (tranne quella italiana); al pianeta, in Italia, si fa sempre seguire la parola «calcio», mentre per quanto riguarda i premi letterari bisogna ricordarsi di denigrarli «ma fare di tutto per vincerli tempestando di telefonate i colleghi
Aggettivi L’ignoranza è sempre dilagante, l’afa insopportabile, l’ottimista (e il male) inguaribile Geografia Lo scrittore parte dalla sua Torino e proietta su scala globale le insensatezze della lingua
votanti». Il Partito democratico si trova drammaticamente senza definizione, ma riferimenti ci sono nelle voci Jovanotti, Eataly, Renzi e Renzismo.
Analizzando le fruste espressioni che i mezzi di comunicazione propagano, Culicchia inocula nel lettore l’ antidoto dell’ intelligenza e dell’ironia lambendo con grazia il politicamente scorretto. Alla voce «ripensare», quindi, si dice che bisogna farlo soprattutto in relazione alle città, «magari dopo averle rovinate in vesti di architetti o amministratori», mentre i sacrifici sono sempre necessari purché li facciano gli altri. I siciliani sono tutti mafiosi ( però ospitali assai), i napoletani sono tutti camorristi (e si cibano di pizza), i calabresi tutti affiliati alla ’ndrangheta, i pugliesi alla Sacra Corona Unita e via di pregiudizio.
Intelligenza e ironia gli servono anche per regolare qualche vecchio conto. Vedi alla voce Annoiati che rimanda a Bullismo: «Anch’io alle elementari sono stato perseguitato dai bulli, Stefano e Luciano» scrive l’autore. In realtà, precisa, non erano bulli, erano stupidi: «Mi pigliavate per il culo perché ero figlio di un barbiere meridionale e avevo questo cognome, eh? E io adesso scrivo che eravate stupidi. E mi pagano pure per farlo».