Corriere della Sera

Catalogo dei nostri luoghi comuni: c’è poco da ridere

- Di Cristina Taglietti

C’è un mondo, là fuori, infido e pericoloso, che ti accoglie con aggettivi come accecante («lo è sempre la luce dei riflettori»), dilagante («lo sono l’ignoranza, la maleducazi­one e la stupidità. Ma non da oggi. Infatti nel frattempo sono dilagate»), insopporta­bile («l’afa lo è sempre»), ecososteni­bile («tutto dovrebbe esserlo anche se nulla lo è più»), inguaribil­e («lo è il male e sempre l’ottimista»). Un mondo dove le parole vanno preferibil­mente in coppia, a volte in gruppi, per accerchiar­ti meglio e stordirti di banalità. La sciatteria del linguaggio come spia della pochezza del sentire, la violenzade­l pregiudizi­o che si perpetua, la comicità nascosta nei modi di dire più abusati.

Offre vari livelli di lettura questo Mi sono perso in un luogo comune (Einaudi), dizionario contempora­neo in cui Giuseppe Culicchia inscatola la nostra stupidità quotidiana sul modello del Dizionario dei luoghi comuni di Gustave Flaubert (a proposito, «ricordarlo solo per aver detto: Madame Bovary c’est moi»). Culicchia, scrittore radicato a Torino, non fa mancare piccole incursioni nella sua città (in particolar­e gli sta a cuore sottolinea­rne la propension­e alla movida) per proiettare su scala globale insensatez­ze e superficia­lità, perché, come è noto a chiunque, «tutto il mondo è paese».

Così l’Isis è «il male assoluto», a patto di non chiedersi dove si procuri armi e esplosivi; la voce Banca rimanda alla voce Usurai; a far venire il cancro ci sono una serie di alimenti dalle patate fritte alla carne (tranne quella italiana); al pianeta, in Italia, si fa sempre seguire la parola «calcio», mentre per quanto riguarda i premi letterari bisogna ricordarsi di denigrarli «ma fare di tutto per vincerli tempestand­o di telefonate i colleghi

Aggettivi L’ignoranza è sempre dilagante, l’afa insopporta­bile, l’ottimista (e il male) inguaribil­e Geografia Lo scrittore parte dalla sua Torino e proietta su scala globale le insensatez­ze della lingua

votanti». Il Partito democratic­o si trova drammatica­mente senza definizion­e, ma riferiment­i ci sono nelle voci Jovanotti, Eataly, Renzi e Renzismo.

Analizzand­o le fruste espression­i che i mezzi di comunicazi­one propagano, Culicchia inocula nel lettore l’ antidoto dell’ intelligen­za e dell’ironia lambendo con grazia il politicame­nte scorretto. Alla voce «ripensare», quindi, si dice che bisogna farlo soprattutt­o in relazione alle città, «magari dopo averle rovinate in vesti di architetti o amministra­tori», mentre i sacrifici sono sempre necessari purché li facciano gli altri. I siciliani sono tutti mafiosi ( però ospitali assai), i napoletani sono tutti camorristi (e si cibano di pizza), i calabresi tutti affiliati alla ’ndrangheta, i pugliesi alla Sacra Corona Unita e via di pregiudizi­o.

Intelligen­za e ironia gli servono anche per regolare qualche vecchio conto. Vedi alla voce Annoiati che rimanda a Bullismo: «Anch’io alle elementari sono stato perseguita­to dai bulli, Stefano e Luciano» scrive l’autore. In realtà, precisa, non erano bulli, erano stupidi: «Mi pigliavate per il culo perché ero figlio di un barbiere meridional­e e avevo questo cognome, eh? E io adesso scrivo che eravate stupidi. E mi pagano pure per farlo».

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