Corriere della Sera

«Io, finito in carcere per la mia fame di manoscritt­i»

Quella disavventu­ra nel ducato dei Gonzaga: il racconto immaginari­o di una prigionia vera

-

Altero Tiziano Vecellio, ritratto di Jacopo Sannazaro Isabella Gonzaga, ai miei amici, perché mi aiutino, ma nessuno mi risponde. Non mi stupirebbe scoprire che non le spediscono. Federigo è uno sventato. Siamo entrati per sbaglio nel Marchesato di Mantova. Venivamo dal Ducato di Milano ed eravamo diretti ad Asola, nella Serenissim­a. In queste campagne belle non sono segnati i confini. E, così, si sono avvicinate a noi delle guardie. Appena ha visto le casacche dei Gonzaga, il mio famiglio ha scosso le briglie, scappando via. Federigo aveva paura che lo arrestasse­ro, ancora per quella vecchia storia che ha ucciso il fratello in una rissa. Io sono rimasto immobile, stupito, presago. Ci hanno scambiati per due delinquent­i evasi.

È dannato, quest’anno del Signore 1506. Sono io, mio Dio, che mi procuro da me stesso tutte queste disgrazie? Mi tiro addosso le nubi, come fa il Grecale? Libri non ne sto stampando più. La tipografia veneziana

A volo d’uccello Anonimo intagliato­re, «Veduta di Venezia», Museo Correr

è ferma, chiusa. C’è la crisi, i libri costano troppo. E poi ci sono le guerre, i confini, si fa fatica ad esportare. Venezia, i suoi commerci, la sua espansione, offendono il Papa, i francesi, il Sacro Romano Impero. E i mantovani si uniranno a questa lega. Per questo, le guardie non hanno simpatia per me; insisto a dirgli la verità, «io sono di Roma», ma per loro resto un veneziano. Sì, il mondo è Vano tentativo Il podestà è vanaglorio­so, un perfetto idiota. ho provato a spiegarli che i libri non sono pericolosi tutto impazzito. Non c’è fatica, ma pigrizia, non c’è moderazion­e, ma eccesso, non c’è equità, ma superbia. Ma il mondo è mai stato, meno che pazzo? Sono solo uno straniero, qui. Ma si può mai essere stranieri, gli uni agli altri, se leggiamo gli stessi libri? Non esiste forse un’altra patria, dove siamo tutti, dove ci si può capire, dove si può comprender­e? Lo vorrei dire, alle guardie. Mi riderebber­o in faccia. Ma non mi importa. Se il podestà mi interroga ancora, glielo dirò: io credo che i libri ci possano fare migliori. «Leggete anche voi, podestà illustriss­imo! Forse possono guarirVi dall’idiozia!». Ecco cosa gli dirò. È per questo che ho deciso di stamparli, io voglio che tutti leggano. Dio mi è testimone che a nulla maggiormen­te aspiro che ad essere di giovamento agli uomini.

Ma ci credo ancora? A cosa servono i libri, in questa valle piena di lacrime e miseria? In questa cella? Non so perché, ma ho ancora fiducia in loro. Quanto mi sarebbe di conforto, qui, averne anche solo. Forse che Virgilio non conosceva la sofferenza della battaglia, o Santa Caterina l’asprezza dolce della prova? E Catullo la nostalgia dell’amore? Pare quasi che tutti abbiamo già vissuto quel che vivo io ora. Pare quasi che io non sia solo. Cinque lunghi giorni sono passati. Prima o poi capiranno lo sbaglio: io sono innocente. Quando uscirò da qui, tornerò a Venezia. E non m’importa nulla di guerre e di crisi. Spolvererò i punzoni, prenderò l’inchiostro, azionerò il torchio. Finché il Signore mi darà la forza, continuerò a stampare libri. Aldo Manuzio fu detenuto nelle carceri di Canneto per

alcuni giorni nel luglio del 1506 e liberato per intercessi­one dei Gonzaga. Rientrò quindi a Venezia dove ridiede fiato

alla sua attività editoriale.

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy