Con lui si sfoglia l’estetica del Belpaese
Aldo Manuzio è il «made in Italy», non per nulla la sua invenzione più geniale, il carattere corsivo, è nota al mondo da oltre cinquecento anni come italic. Stampò Aristotele, Teocrito, Poliziano, Santa Caterina, Virgilio, Petrarca, Ovidio… Ma quel che conta non sono soltanto i titoli e l’altissima qualità dei commenti, ma il come li stampa. Pensiero e stile. Il simbolo dell’àncora con un delfino attorcigliato è l’equilibrio tra solidità e velocità: «Festina lente». Giustamente Andrea Kerbaker sostiene che si tratta del concetto di «brand» con cinque secoli di anticipo. Se Gutenberg fu il trionfo della tecnica tedesca, Manuzio è stato l’«italian style», l’eleganza, l’armonia, l’innovazione del gusto. Il grande storico della letteratura Carlo Dionisotti parlò di «un tempo in cui i piccoli maestri, confinati o vaganti in piccole sedi provinciali, riuscivano a conquistare una fama che dura esile ancora oggi». Manuzio arrivò in una capitale come Venezia provenendo da un paesino della provincia laziale, Bassiano, e come tanti provinciali di genio riuscì a imporsi al gran mondo per la sua incredibile forza innovativa: il suo occhio, oltre che la sua mente critica, riesce a stravolgere la veste del libro sotto ogni aspetto. Introduce il frontespizio quando l’uso è quello di partire ex abrupto con il testo, inventa il colophon, cioè la formula finale con le indicazioni tecniche, il luogo e la data della stampa. E nel 1501, in un’edizione virgiliana, utilizza il corsivo. Non solo: riduce il formato dall’ingombrante «in folio» alla misura cosiddetta «in ottavo» o «in dodicesimo» (parla infatti di «libri portatiles», ovvero di tascabili). Una o due piegature in più: e la magia può realizzarsi. Grazie a lui, il libro è ancora oggi un «abito essenzialmente italiano». E anche se un giorno dovesse imporsi l’ebook, l’impianto resterebbe comunque aldino.