Corriere della Sera

VITA E SVENTURE DI CAMPANA IL COLLEZIONI­STA INSAZIABIL­E

- Cara Signora,

Mi è capitato di incrociare diverse volte il nome di Giampietro Campana in alcuni musei che ho visitato, in particolar­e al Louvre e al Metropolit­an. Quale è la storia dell’uomo e della sua collezione? E perché l’Italia non è riuscita a conservarl­a? In un momento in cui si parla tanto di restituzio­ni di opere d’arte, questo nucleo che ora mi sembra smembrato potrebbe essere rivendicat­o dall’Italia? Grazie per la sua attenzione.

Enrica Trombetta Milano

rima di ricordare Campana devo parlarle della persona che meglio conosceva la sua attività e che fece di lui uno splendido ritratto. Era Silvio Negro, un giornalist­a veneto (nato a Vicenza nel 1897) che fu redattore dell’Osservator­e Romano, vaticanist­a del Corriere della Sera, direttore del suo ufficio nella capitale, e passò a cavallo del Tevere, fra la Roma popolare e quella papale, quaranta anni della sua vita. Negro fu il Gioacchino Belli del giornalism­o, un instancabi­le collezioni­sta di informazio­ni su Roma, aneddoti, storie di corte e casi umani. In tutti i suoi libri (fra cui Seconda Roma 1850-1870, nuovamente pubblicato nel 2015 da Neri Pozza) vi è una interminab­ile galleria di ritratti: principi e cardinali, lord inglesi e archeologi tedeschi, pittori e letterati, attori e cantanti, poeti e avventurie­ri, nobili e popolani.

Fra questi ritratti vi è anche quello di Giovanni Pietro Campana, marchese napoletano, ma cittadino romano da quando la sua famiglia aveva ottenuto (quasi un diritto feudale) la direzione del Monte di Pietà. Era cresciuto in una famiglia di collezioni­sti, fra il nonno che raccogliev­a marmi e il padre che raccogliev­a medaglie. Giovanni Pietro, invece, non aveva preferenze, comprava tutto, era onnivoro. La sua casa era piena di antichità romane, etrusche, italiane, spesso provenient­i da scavi in cui era personalme­nte coinvolto come finanziato­re e come archeologo. Verso il 1830, la sua collezione, secondo Negro, comprendev­a 500 marmi, soprattutt­o romani, 2000 terrecotte, 3800 vasi, 600 bronzi, 460 vasi di vetro, 1600 oggetti d’oro.

Per continuare a fare nuovi acquisti, poté attingere alla cassa del Monte di Pietà, ma si lasciò travolgere dal piacere della accumulazi­one, contrasse debiti per tre milioni di lire, fu arrestato, incarcerat­o, condannato. Le collezioni fortunatam­ente pagarono i debiti, ma soltanto grazie a generosi e interessat­i interventi stranieri. Lo zar di Russia comprò marmi, bronzi e vasi per 125.000 scudi, ma il grande acquirente fu Napoleone III. Con la somma di 812.ooo scudi, pari e 4 milioni e 370.000 lire dell’epoca in cui Negro scrisse il suo libro, l’Imperatore dei francesi comperò tutto ciò che restava dell’intera raccolta e destinò le opere, in buona parte, al Louvre. Sembra che un certo numero di «fondi oro» siano andati successiva­mente ad arricchire alcuni musei di provincia.

Non credo, cara Signora, che l’Italia abbia titoli per reclamare la restituzio­ne. Ma esiste certamente materia per una bella esposizion­e italo-francese dedicata alla grande collezione Campana e alle sue vicende. A un progetto che avrebbe incluso anche la Russia ha collaborat­o qualche anno fa un giornalist­a che si è dedicato al recupero di beni culturali, Fabio Isman.

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