Corriere della Sera

Quel quarto d’ora in cui tutto può succedere

- Di Cristiano Gatti

Il vincitore è anche un creativo del marketing. Suo lo spot dell’anno: «La Sanremo è qualcosa di troppo grande, per me». Prenderei questa sola frasetta, la evidenzier­ei con un bel colore giallo fosforesce­nte, poi la invierei con dedica a tutti quelli che ogni anno, puntuali come le tasse, gridano indignazio­ne perché la Sanremo non è abbastanza dura. Una volta ancora, una volta per tutte, la Sanremo si conferma un preziosiss­imo cammeo dell’invidiato made in Italy. La sua formula, che neppure il più cinese di Cina riuscirebb­e a imitare, è proprio questa: sei ore e mezza sul filo dei nervi per i corridori, sei ore e mezza di noia mortale, quasi un’anestesia, per il pubblico, ma poi quell’esplosivo quarto d’ora che nessun’altra gara al mondo riesce a inventarsi. L’allungo sul Poggio, la discesa da testamento, le curve da occhi sbarrati, lo sprint da capelli dritti, più le cadute, i dispetti e i vecchi merletti. Fino all’ultimo centimetro. Non esiste un altro quarto d’ora capace di alterare in questo modo la frequenza cardiaca, dei corridori e del pubblico. Gare di resistenza, gare spietate, gare con le salite e gare con le pietre, gare così ne esistono ovunque. Vogliamo salvarne almeno una del genere thrilling, pregiata come pezzo d’autore, una che i ciclisti consideran­o ancora troppo grande per sé? Vogliamo riservare un posto al surreale e all’imprevedib­ile? Giù le mani, allora. Nessuno tocchi la Sanremo. Come nella vita, abbiamo bisogno del quarto d’ora in cui tutto può succedere.

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