Perché conta se un cibo in fretta la glicemia?
Gli studi sull’utilità dell’indice glicemico come criterio per le diete di persone sane è discusso. Però tenendo in considerazione questo parametro ci si orienta «automaticamente» su alimenti in genere più salutari e, viceversa, una nutrizione varia ed eq
del più recente documento di consenso sull’IG pubblicato nel 2015 su Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Diseases: «Nelle tabelle dei Livelli di Assunzione Raccomandata dei Nutrienti (LARN) gli obiettivi di nutrizione per la prevenzione indicano di prediligere fonti amidacee a basso IG, soprattutto se l’apporto di carboidrati è vicino al limite superiore, pari al 60%, del totale delle calorie giornaliere. Gli studi mostrano che nei soggetti sani, soprattutto se donne e in sovrappeso, una dieta a basso IG possa dare benefici che vanno oltre la possibilità di prevenire il diabete, come una riduzione della probabilità di tumore al seno. Detto ciò i dati circa la prevenzione dell’obesità, per esempio, non sono ancora solidi quanto quelli sul diabete; ma a parità di nutrienti, attività fisica e fattori di rischio i cibi a basso IG migliorano la sazietà riducendo l’apporto calorico dei pasti successivi, contribuendo quindi a controllare il peso».
Ci sono però studi di segno contrario, come uno recente di ricercatori di Harvard e Johns Hopkins University che ha dimostrato come diete dall’IG molto diverso ma uguali per calorie e ricche di frutta, verdura e cereali integrali e povere I cibi a basso IG sono in genere più ricchi di fibre perché queste, soprattutto se viscose, rendono i carboidrati meno accessibili agli enzimi di zuccheri raffinati non hanno effetti dissimili su pressione arteriosa, colesterolo e trigliceridi: quindi se si mangia sano non servirebbe l’IG.
«Non bisogna focalizzarsi su un solo parametro: scegliere vegetali come legumi, frutta e verdura abbassa da sé l’IG, e propendere per cibi a basso IG implica portare in tavola prodotti ricchi di vitamine, sali minerali e fibre preziose — interviene Rosalba Giacco, ricercatrice dell’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del CNR ad Avellino e membro del consiglio direttivo della Società Italiana di Diabetologia —. È difficile scindere gli effetti del solo IG, soprattutto se la dieta è già salutare: nessun alimento va criminalizzato e conta la qualità dell’alimentazione nel suo complesso. I cibi a basso IG per esempio sono in genere più ricchi di fibre perché queste, soprattutto se viscose, rendono i carboidrati meno accessibili agli enzimi; inoltre le fibre rallentano lo svuotamento gastrico, così i carboidrati arrivano più gradualmente all’intestino e l’assorbimento del glucosio in circolo è più lento. Nel lungo periodo riducono il colesterolo, abbassano la pressione arteriosa, modificano in senso positivo la flora batterica intestinale. L’esito finale è quindi più ampio del solo controllo glicemico “immediato”». Come individuare i cibi in base al loro IG?
«Valgono alcune regole generali — dice Brighenti —. Sono a basso IG legumi, frutta, vegetali, pasta; l’IG è intermedio per pane, patate e riso, alto per i dolci. La sola aggiunta di fibre nei prodotti integrali di per sé non riduce l’IG, occorre scegliere cereali intatti: il riso integrale ha un IG più basso, ma farine di riso integrali o bianche sono identiche. Ciò che è più “tenace” da masticare ha un IG più basso: cereali come orzo o riso, i legumi e la pasta, le patate al forno anziché in purè e la frutta intera invece che frullata sono meglio di pane e pizza, anche perché la lievitazione dà porosità e favorisce l’attacco degli enzimi digestivi che liberano subito glucosio. Ci siamo evoluti mangiando cibi crudi e difficili da digerire, la fisiologia si è adattata per trarne più nutrienti possibile: la nostra macchina-corpo funziona al meglio guidando senza strappi, dandole “benzina” senza picchi con cibi a basso IG. Con quelli di facile assimilazione di oggi, dall’alto IG, è come se guidassimo accelerando e frenando di continuo: rovinano di più il “motore”».