Infiammazioni e dolore Quando la cura è glaciale
La crioterapia si propone come trattamento per malattie croniche e autoimmuni Prospettive interessanti ma prove da confermare
re minuti al massimo, ad una temperatura di meno 130 gradi: in questo consiste la crioterapia sistemica (Whole Body Cryotherapy - WBC), un trattamento che aspira ad uscire dall’ambito di applicazione sportivo ed estetico dove finora è rimasto confinato per conquistare definitivamente lo status di terapia medica a tutti gli effetti.
Certo l’idea di assaporare il brivido di un tuffo in un lago ghiacciato, pratica comune nei Paesi nordici e dell’ Est europeo, per curarsi può sembrare un tantino da masochisti. Eppure proprio quella pratica, in Polonia soprattutto, da 30 anni è riconosciuta come una cura vera e propria rimborsata dal Servizio sanitario nazionale.
In Italia la crioterapia sistemica è ancora poco nota e applicata. «È un trattamento medico efficace per diversi sintomi e patologie, come dimostra la letteratura scientifica in materia — spiega il professor Giuseppe Banfi, direttore generale della Fondazione Centro San Raffaele di Milano che ha organizzato il primo convegno sul tema, chiamando diversi esperti a confrontarsi —. Il trattamento si basa sulla terapia del freddo e, semplificando, non è altro che un potentissimo antinfiammatorio senza effetti collaterali. È facile da attuare e sicura se effettuata in sedi autorizzate da personale qualificato, sotto controllo medico. Non ha controindicazioni, se non ad esempio per casi di ipersensibilità al freddo, specifici problemi cardiovascolari o claustrofobia».
Pratica antichissima,questa, se lo stesso Ippocrate padre della medicina prescriveva il trattamento con acqua fredda per il dolore e le infiammazioni. A distanza di due millenni, è curioso registrare - come ha fatto una revisione della letteratura del 2007, pubblicata su Emergency Medicine Journal - che in effetti l’80% dei medici prescrive la crioterapia per il trattamento sintomatico di traumi e di patologie dei tessuti molli. Ma lo fa per lo più in base all’esperienza (50% dei casi) o al senso comune (30%) e solo nel 17% dei casi fondando la scelta su un ragionamento scientifico.
Gli studi scientifici ci sono, certo, ma siamo ancora lontani dall’avere raggiunto prove solide di efficacia. Per una serie di motivi: «Non esistono trial clinici randomizzati — evidenzia Giovanni Lombardi, responsabile del laboratorio di Biochimica sperimentale e Biologia molecolare all’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano — . È un punto essenziale, perché solo questi trial ci permettono di raggiungere quella che viene chiamata medicina basata sulle prove. Manca poi una standardizzazione dei protocolli di crioterapia e abbiamo un’eterogeneità troppo grande nelle caratteristiche antropometriche dei pazienti analizzati nei vari studi». Ma, tiene a sottolineare Lombardi, «dal punto di vista clinico invece l’evidenza c’è: la crioterapia riduce il dolore e lo status pro-infiammatorio, migliora la qualità della vita dei pazienti in una serie di patologie, fino a 6-8 mesi dalla conclusione del trattamento».
Secondo il professor Antonio La Torre, della Scuola di Scienze Motorie dell’Università degli Studi di Milano, i limiti della crioterapia «sono relativi alla scarsa presenza ancora di studi randomizzati, perché prima di tutto è una scienza giovane e poi occorrono i fondi» .
Lo spettro di trattamento è ampio. «Le indicazioni variano moltissimo — sottolinea ancora Lombardi — : dal dolore articolare o al back pain o al dolore a livello di colonna da artrosi o da rigidità muscolare, alle patologie infiammatorie, ai traumi o al sovraccarico muscolare e tendineo e poi tutta una serie di patologie infiammatorie, auto-infiammatorie e autoimmuni. Giusto per citarne qualcuna,la psoriasi e l’artropatia psoriasica, le poliartriti, le paresi e le contratture spastiche, la fibromialgia, la dermatite atopica, fino alla sclerosi multipla».
Cosa succede al corpo in una condizione così estrema? Il meccanismo di difesa innescato per ondizione preliminare per qualsiasi trattamento con la crioterapia, è che avvenga sotto la supervisione di un medico e in strutture autorizzate. Come si svolge, in pratica, una seduta? Nel caso di una criocamera a due stanze - esistono anche le criosaune, che sono dei cilindri per una singola persona, ma sono ritenute meno sicure — , dopo i dovuti controlli si indossa materiale monouso (slip, reggiseno, mascherina e cuffia) e si entra in una pre-camera contrastare il freddo, stimola la circolazione sanguigna, il sistema endocrino, il sistema immunitario e il sistema nervoso centrale con proprietà antinfiammatorie, analgesiche, antidolorifiche, anti-metaboliche e antidepressive.
«Il freddo determina il rilascio di acetilcolina e noradrenalina dai neuroni del sistema simpatico che vanno a inibire a livello di sistema immunitario il fattore di trascrizione NF-kB, cioè il centro dell’infiammazione — entra nel dettaglio Lombardi —. Così vengono bloccati anche i mediatori infiammatori “a valle” e la produzione di radicali liberi e di molecole di adesione (le proteine collocate sulla superficie cellulare, ndr) che attivano la fuoriuscita dei globuli bianchi nei tessuti e quindi la produzione in loco dello stimolo infiammatorio. Inoltre il freddo provoca una vasocostrizione e quindi limita l’infiammazione e inibisce direttamente gli enzimi coinvolti nella distruzione dei tessuti, fenomeno comune a tutti i processi infiammatori».
Se i meccanismi fisiologici del freddo dunque sono noti, la strada per ottenere un riconoscimento della crioterapia sistemica a livello di Servizio sanitario nazionale presenta ancora parecchie incognite. Le strutture, pubbliche o
In medicina
3 a meno 60 gradi. Dopo circa trenta secondi si passa nella camera vera e propria dove la temperatura scende fino a meno 130 gradi. A garantire temperature così basse è l’azoto liquido, contenuto in un serbatoio a meno 196 gradi. Dentro la camera, l’aria è secca, assolutamente priva di umidità proprio per evitare l’ustione da contatto che l’acqua provocherebbe.
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