Il terzo uomo e tutti i segreti della cellula
Giornalista, reclutava estremisti
Iltassista ha riconosciuto il «killer con il cappello», il terzo terrorista dell’immagine della telecamera dell’aeroporto: è Faysal Cheffou, giornalista indipendente, fortemente radicalizzato, già denunciato perché reclutava estremisti. Cresce in Belgio il timore di un attacco alle centrali nucleari.
«E poi mezz’ora fa sono stati fermati tre uomini proprio qui davanti». Ai giornalisti che ascoltavano il resoconto serale del portavoce della Procura federale belga erano sfuggiti parecchi sorrisi ironici. Nessuno aveva fatto domande. Sembrava quasi una battuta, quella che giovedì sera aveva concluso l’incontro quotidiano con la stampa per fare il punto sulle indagini. Invece era ben altro.
L’uomo con il cappello ha un nome e un cognome. E questa volta non ci sarà un’altra caccia all’uomo. La terza persona ripresa dalle telecamere di sicurezza dell’aeroporto internazionale di Zaventem mentre trasporta un carrello con sopra un bagaglio accanto ai due complici che poco dopo si faranno esplodere è già in cella da tre giorni. Si chiama Faysal Cheffou, viene anche lui dalla celebre Molenbeek, dove ha vissuto a lungo, e forse rappresentava davvero l’ultima risorsa del commando che ha fatto strage a Parigi e Bruxelles. «Instabile, facile a scatti d’ira incontrollati, emarginato dai suoi stessi compagni» si legge sulle note del suo dossier. Eppure la sua storia è un buon riassunto delle leggerezza con la quale gli apparati belgi hanno gestito una realtà che il loro Paese ha covato per almeno vent’anni, facendo finta di non vedere.
Le incredibili negligenze che hanno costellato la lunga latitanza di Salah Abdeslam, il mancato arresto dei fratelli Bakraoui e dell’artificiere di ogni strage, il giovane ex studente modello Najim Laachraoui, vengono da lontano. Anche Cheffou era ben conosciuto dalla polizia di Bruxelles. Nell’estate del 2015 si presentava alle porte del Parc Maximilien, si metteva davanti all’Ufficio stranieri e tentava di convincere i richiedenti asilo a fare la Jihad. «Qui o in Siria, non importa dove, io ti posso far arrivare ovunque». Succedeva ogni giorno, alla luce del sole. Ogni tanto qualche addetto lo prendeva a male parole. Ma lui tornava sempre. Yvan Mayeur, il borgomastro della Ville de Bruxelles aveva denunciato il suo attivismo. Lo considerava «pericoloso», il termine è scritto in grassetto nel documento presentato più volte alla procura. Non avendo ottenuto risposta, si era rivolto al tribunale chiedendo provvedimenti nei confronti di Cheffou. «In quanto la sua opera verbale di reclutamento a nome dei movimenti radicali islamici costituisce una forma grave di reato». Anche per conto della procura, il 24 settembre 2015 un giudice gli aveva risposto che la domanda fatta in qualità di amministratore non poteva essere accolta.
Cheffou non era certo uno sconosciuto. Sulla sua fedina penale c’erano segnate parecchie bandiere rosse che avrebbero almeno dovuto dare il giusto peso all’allarme lanciato dal borgomastro. Karim, suo fratello maggiore, era stato ucciso nel 2002 durante un conflitto a fuoco con gli agenti che stavano perquisendo la sua casa di Schaerbeek in cerca degli autori di una rapina. All’interno dell’appartamento venne trovata una borsa piena di granate. L’anno seguente, quando aveva appena 18 anni, Faysal Cheffou fu condannato per ricettazione e associazione a delinquere. Scampò all’accusa più grave, quella di omicidio, ma anche in quel caso erano emersi segnali inquietanti. Il 24 giugno 2003 nella sua casa di Molenbeek, mentre lui era assente, un suo amico trovò una pistola. La puntò per gioco alla testa di un’altra persona, credendo fosse scarica. Non lo era. Dal ripostiglio uscirono anche decine di passamontagna, divise e manette, la refurtiva di un furto avvenuto l’anno prima al commissariato di Molenbeek, del quale era stato accusato anche Brahim Abdeslam, fratello di Salah.
E così siamo arrivati alla strage di Bruxelles. Al matto, inoffensivo, conosciuto Cheffou che lascia nella hall dell’aeroporto l’ordigno più potente, così instabile da esplodere ancora prima dell’arrivo degli artificieri e per fortuna poco dopo l’evacuazione dello scalo. Ma il lavoro non era ancora finito. Dopo l’attentato nella stazione della metropolitana di Maelbeek, un fotografo vede un uomo dal comportamento sospetto che si allontana. Gli scatta una foto con il teleobiettivo e la trasmette alla polizia. Mercoledì le immagini della videosorveglianza di un negozio vicino alla fermata di Petillon, sulla linea che conduce a Maelbeek, mostrano uno sconosciuto che passa a Khalid Bakraoui uno zaino. Un agente lo riconosce. «E’ quello del Parc Maximilien...».
Cheffou ha continuato a fare la vita di sempre. Giovedì pomeriggio viene pedinato. Sale su una macchina in compagnia di altre due persone. Fa qualche giro intorno a Palazzo di Giustizia, non proprio un segno di lucidità. Alla fine lo prendono. Il tassista che la mattina degli attentati ha caricato Ibrahim Bakraoui e Najim Laachraoui e l’uomo con il cappello viene convocato per un confronto all’americana: «È lui». Manca ancora la conferma delle procura, ma l’uomo con il cappello non fa più paura. «La cellula stragista ormai è neutralizzata» hanno detto ieri alla polizia. La cattura dell’ultimo complice era attesa come la chiusura del cerchio, ma è segnata dalla stessa approssimazione che ha lasciato prosperare in Belgio gli autori delle stragi di Parigi e Bruxelles, e non si cancella in un giorno. La notizia dell’ar-complicato resto e il suo potenziale consolatorio oscurano lo svelamento dell’identità dell’uomo ferito alla fermata del tram 25 di Schaerbeek. Si chiama Abderamane Ameuroud. Anche lui viene da Molenbeek. Non è collegato direttamente ai fatti di Bruxelles, ma al francese Reda Kriket, l’uomo che mandò in Siria Abdelhamid Abbaud, arrestato pochi giorni fa ad Argenteuil con l’accusa di preparare un nuovo attentato. Nel 2005 Ameroud era stato condannato per aver fatto parte della cospirazione che portò all’omicidio del comandante Massud, che si opponeva all’avanzata dei talebani in Afghanistan. Era il 9 settembre 2001. Due giorni dopo sarebbe venuto giù tutto, e sarebbero cambiate per sempre le nostre vite.
Allarme inascoltato Il borgomastro della Ville de Bruxelles si era invano rivolto alla procura: «Pericoloso» Volti conosciuti Il ricercato fermato a Schaerbeek stava preparando un nuovo attentato