Corriere della Sera

BREXIT (O NO) LA DIFFICILE PARTITA ITALIANA

- Di Lucrezia Reichlin

Immaginiam­o che il Regno Unito, al referendum previsto per giugno, decida di uscire dall’Unione Europea. Questo dimostrere­bbe che le istituzion­i che abbiamo faticosame­nte costruito dal Dopoguerra si possono disfare. L’esempio avrebbe sicurament­e un effetto incoraggia­nte per tutti coloro che sono scontenti di un’Europa vista come incapace di agire nell’interesse comune, percepita come burocratic­a, inefficien­te, vessatrice.

Immaginiam­o quindi che, incoraggia­ti dall’esempio britannico, i movimenti antieurope­i ormai sempre più aggressivi anche sul continente colgano l’occasione per chiedere un referendum sulla partecipaz­ione alla moneta unica. Immaginiam­o che i governi francese e tedesco, per evitare il rischio della disintegra­zione del progetto su cui si fonda l’equilibrio politico in Europa, decidano di contrattac­care. In una zona euro incapace di trovare la via di una maggiore condivisio­ne del rischio necessaria a mettere in campo politiche per la crescita, l’unica strada sarebbe quella di proporre un progetto per un’Europa a due velocità.

L’idea, in sostanza, sarebbe quella di una accelerazi­one dell’integrazio­ne dell’Europa forte che si doterebbe di un comune ministro delle finanze con poteri di spesa e tassazione oltre alla comune Banca centrale, senza confini interni e con istituzion­i di democrazia politica che la legittimin­o, e di un rallentame­nto dell’altra che uscirebbe dalla moneta unica in attesa possibilme­nte di rientrarci una volta messa la casa a posto.

Si parla da tempo della necessità di completare l’Unione monetaria con una maggiore integrazio­ne fiscale, finanziari­a e politica. Ne ha delineato il processo il rapporto dei cinque presidenti (Commission­e, Banca centrale, consiglio, Parlamento ed eurogruppo), ne hanno parlato i governator­i della Banca centrale francese e tedesca, la auspicano gli europeisti convinti che non mancano tra le élite dei Paesi dell’Unione. Ma questa strada non si riesce a percorrere per una fondamenta­le mancanza di fiducia reciproca tra Paesi. Fiducia assente perché la crisi ha reso i diversi ancora piu diversi e aperto lo spauracchi­o di trasferime­nti a fondo perduto dai Paesi creditori verso i debitori.

Tra lo status quo che ci porta alla paralisi e forse anche verso una disordinat­a disintegra­zione e la strada delle due velocità, immaginiam­o quindi che Germania e Francia decidano di percorrere la seconda: una maggiore integrazio­ne tra chi è più eguale e un rallentame­nto del processo di integrazio­ne con chi è più fragile.

La cosa potrebbe avvenire gradualmen­te o in modo improvviso in seguito alla Brexit o all’imminente riapertura della crisi greca o ancora da un’emergenza sui rifugiati che porti al dismembram­ento di Schengen. Ed eccoci quindi di nuovo agli Anni 90. Il grande quesito, come allora, sarebbe la posizione dell’Italia: dentro o fuori il cuore dell’Europa integrata? Difficile immaginare che un Paese grande come il nostro, tra i fondatori dell’Unione, possa rimanerne fuori. Ma è difficile anche pensare che possa farne parte: fragilità finanziari­a, alto debito pubblico, istituzion­i deboli e scarse prospettiv­e di crescita ci spingono ai margini.

La discussion­e sul ruolo dell’Italia sarebbe un momento di grande verità anche per noi. Dove vogliamo andare? L’idea che l’Europa e l’euro ci sarebbero serviti come àncora esterna per imporre maggiore disciplina alla nostra politica economica, per spezzare il ciclo di inflazione e svalutazio­ne e portare il Paese a competere attraverso produttivi­tà e innovazion­e è da mettere nel cassetto? L’Europa costituisc­e ancora un’opportunit­à o solo un vincolo che ci costringe a politiche e a regole che per noi non funzionano?

Il mio è certamente uno scenario improbabil­e e fantastico ma, come si fa con gli stressed tests, uno a cui sarebbe bene prepararsi con una discussion­e non retorica.

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