«Regeni, ora l’Egitto deve far indagare noi»
Il ministro dell’Interno: «L’Ue? Non sa eseguire neanche le decisioni prese Sto lavorando a un piano anti radicalizzazione ma la sfida è globale»
«Avremo il nome dei killer ma ora devono lasciarci indagare»: sono queste le parole del ministro dell’Interno Angelino Alfano al Corriere della Sera sul caso di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano ucciso e seviziato in Egitto. «Davanti alla nostra fermezza, gli egiziani si sono riposizionati».
Religioni In Italia i cattolici fanno il Giubileo, i musulmani si sentono integrati e gli ebrei sono al sicuro
Nel doppio fronte che la vede coinvolta «l’Italia deve avere un unico obiettivo: agire con rapidità e decisione». Ecco perché il ministro dell’Interno Angelino Alfano prende un nuovo impegno con i genitori di Giulio Regeni: «Il nostro governo lavora in modo determinato per ottenere la verità». E riguardo al terrorismo dice: «Ancora una volta l’Europa si è mostrata troppo lenta rispetto ai tempi dei nostri avversari, vale a dire i terroristi. Se non agiamo velocemente, rischiamo di subire in Europa un nuovo attacco da parte dei fondamentalisti».
Ministro, le autorità egiziane hanno spacciato per verità l’ennesimo depistaggio. Che cosa risponde il governo?
« Risultato importante è che, davanti alla nostra fermezza nel perseguimento della verità, dopo qualche ora gli egiziani si sono comunque riposizionati e ci hanno fatto sapere che le loro indagini sono ancora in corso».
Questo le pare sufficiente?
«Certamente no, a questo punto i nostri investigatori devono essere direttamente coinvolti, partecipare a interrogatori e verifiche fatti dai colleghi del Cairo. Il nostro occhio è indispensabile».
«Tra un gesto simbolico e la verità io preferisco percorrere la strada che ci porta alla sostanza della vicenda e cioè sapere che cosa è accaduto. Ciò non vuol dire che resteremo a guardare. Io voglio ribadire ai genitori di Giulio e ai cittadini che il governo italiano avrà il nome degli assassini».
Lei è rientrato da Bruxelles due giorni fa dopo l’ennesimo vertice antiterrorismo. Avete raggiunto risultati?
«L’Europa è in una condizione incredibile, non è in grado di eseguire decisioni già prese. Abbiamo subito le stragi di Parigi e Bruxelles, ma non siamo stati in grado di fare nemmeno la direttiva sul Pnr di cui discutiamo da oltre due anni».
Forse è arrivato il momento di pensare a un’Unione ristretta con quei Paesi che invece sono determinati a intervenire.
« Io sono co nt r a r i o a un’Unione a due velocità. Ma nello stesso tempo ho la consapevolezza che se non riusciremo a fornire una risposta veloce, l’Europa presterà il fianco debole ad altri potenziali attacchi. La verità è che l’Ue si basa soprattutto sull’economia e sul mercato comune, ma questo ormai non è più attinente alla realtà dei fatti, comunque non basta».
Esiste una soluzione?
«Dobbiamo ripensare l’intera architettura, accettare che le vere emergenze sono quelle legate alla sicurezza, ai flussi migratori e ai profughi. Per questo dobbiamo restare insieme e confrontarci continuamente con gli Stati Uniti. Marciare in un’unica direzione. Non dimentichiamoci che i leader dei fondamentalisti usano la rete Internet, hanno una strategia globale. La risposta, quindi, non può essere individuale o nazionale. Solo gli stupidi possono pensare di essere più forti da soli».
Intanto non funziona neanche lo scambio informativo tra apparati di investigazione e intelligence.
«Il punto non è accusare un Paese o un altro, ma realizzare decisioni. È sì utile creare una Procura europea antiterrorismo, ma prima di tutto dobbiamo accettare lo scambio di informazioni. Sono necessari controlli rigidi alle frontiere, verifiche su tutti i pagamenti effettuati online o con carte di credito. E, ripeto, introdurre il codice Pnr per avere tutti i dati utili su chi viaggia in aereo e si sposta da uno Stato all’altro, per sapere chi è, con chi viaggia, che storia ha. Questo è fare prevenzione».
Voi avete appena approvato la creazione della banca dati del Dna. Non crede che ci possa essere un eccesso di rinuncia alla privacy in nome della sicurezza?
«Il rischio della schedatura lo si affronta e lo si risolve con una serie di misure che vanno a garanzia del trattamento dei dati: misure che partono dalla stessa organizzazione delle piattaforme che assicurano l’anonimato dei dati, trattati con le regole connesse a sicurezza e privacy. Altro aspetto di diversificazione rispetto alla schedatura è un termine per la conservazione dei dati, commisurato alla gravità dei crimini commessi».
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando lancia l’allarme rispetto al proselitismo nelle carceri. Quali sono le altre aree di rischio?
«Stiamo mettendo a punto un piano nazionale di anti radicalizzazione. Noi non abbiamo periferie ghetto, ma dobbiamo gestire con intelligenza questa vicenda per evitare il paradosso di Bruxelles dove immigrati di seconda e terza generazione si sono fatti esplodere uccidendo immigrati di seconda generazione come Patricia Rizzo. Vanno captati i segnali che arrivano da tutto il territorio: scuole, carceri, ospedali, luoghi di culto e di incontri. In questa direzione va il piano nazionale anti radicalizzazione sul quale sono al lavoro e che presto presenterò al governo».
Quant’è importante il dialogo con l’Islam moderato?
«Posso dire che nelle ultime settimane abbiamo eseguito un arresto e un’espulsione di persone segnalate proprio dalle loro comunità. In Italia i cattolici fanno il Giubileo, i musulmani si sentono integrati e gli ebrei sono al sicuro. Questa è la verità, finora».