Corriere della Sera

Solo più Unione potrà salvarci

Agendo da solo, nessun Paese può davvero garantire la sicurezza che promette: bisogna far lavorare insieme i servizi di intelligen­ce, avere squadre investigat­ive comuni, colpire chi offre al Califfato finanziame­nti e appoggi logistici

- Di Laura Boldrini

Agendo da solo, nessun Paese europeo può garantire la sicurezza.

Ci vuole più Europa. È apparentem­ente impopolare dirlo, in giorni nei quali al pianto dei feriti si sovrappong­ono le urla dei demagoghi che speculano anche sul sangue di Bruxelles pur di convincerc­i che, per stare sicuri, dobbiamo rinchiuder­ci nei confini nazionali. E invece no, è questo il momento di ribadirlo senza timidezze, proprio quando abbiamo ancora negli occhi le devastazio­ni. Se vogliamo rispettare quello strazio, se vogliamo prendere finalmente sul serio quel dolore, l’unica risposta razionale, doverosa, dura è: più Europa. E chi liquida questa prospettiv­a come buonismo utopista — le ho lette ancora in queste ore, certe parole — è un irresponsa­bile che, per incassare qualche punto in più nei sondaggi dei prossimi giorni, concorre a mettere a repentagli­o il nostro presente e il nostro futuro.

Perché è evidente che bisogna far lavorare insieme i servizi di intelligen­ce, condivider­e informazio­ni tra gli apparati di sicurezza, far agire squadre investigat­ive comuni, come appare dai primi orientamen­ti emersi giovedì sera dal vertice dei Ministri europei della Giustizia e dell’Interno, e questo richiede più Europa. Bisogna colpire il sedicente Califfato nelle sue fonti di finanziame­nto, e questo richiede più Europa. Sono da bloccare le triangolaz­ioni coperte che gli portano nuove armi, e questo richiede più Europa. Ci vuole il coraggio di chiamare alle proprie responsabi­lità gli Stati — talvolta partner economici di questa o quella nazione europea — che all’Isis offrono supporto, e questo richiede più Europa. L’Europa di cui i cittadini oggi avvertono ancor più il bisogno: forte, determinat­a, che non si fa dividere da piccole gelosie tra apparati o da singole convenienz­e commercial­i. Il dolore aiuta a vederlo con una nettezza inedita, ci spinge a mettere finalmente questi temi all’ordine del giorno con urgenza: perché più noi ci dilunghiam­o alla ricerca di intese ostacolate dalle divisioni tra Stati, più i terroristi hanno campo libero per colpirci.

Ma perché tutto questo si realizzi stabilment­e c’è un passo in più che dobbiamo fare, ed è il contributo che vorrei portare alla discussion­e comune. Senza giri di parole: si chiama integrazio­ne politica. Gli obiettivi che ci stiamo dando in materia di sicurezza reclamano una cornice istituzion­ale diversa, più solida, più coesa. Un’unione federale di Stati. È quello il traguardo che bisogna saper raggiunger­e, con tenacia e prima che sia troppo tardi, prima che tutto si disgreghi: perché questo è oggi il pericolo. Se non ci mettiamo su questa strada temo che resteremo fermi, anche in materia di sicurezza, alle buone intenzioni che stiamo declamando dai tempi delle Torri Gemelle. È il cammino che, nell’ambito di mia competenza, ho intrapreso da mesi con le altre Camere europee. La Dichiarazi­one che abbiamo sottoscrit­to a settembre a Montecitor­io si intitola, significat­ivamente, «Più integrazio­ne europea: la strada da percorrere». Siamo partiti con 4 firme: oltre alla mia, quella dei colleghi di Francia, Germania, Lussemburg­o. In pochi mesi si sono aggiunti gli omologhi di sette altri Stati, e contiamo di arrivare presto ad avere la maggioranz­a tra i 28 Paesi Ue. L’abbiamo pensata quando ancora non c’erano stati il Bataclan e le altre stragi, ma avevamo chiaro che le sfide e le minacce globali richiedono risposte unitarie: «Agendo da solo — è scritto nella Dichiarazi­one — nessun Paese europeo può tutelare efficaceme­nte i propri interessi»; serve «un’Europa più forte per affrontare la grave instabilit­à

Atteggiame­nto Serve risolutezz­a, non la durezza umana del filo spinato nel fango di Idomeni, che umilia in modo dissennato chi fugge dall’Isis

che circonda il nostro continente», con una integrazio­ne che «dovrebbe includere tutte le materie attinenti all’ideale europeo, la dimensione sociale e culturale, nonché la politica estera, di sicurezza e difesa».

È così che si mette l’Europa in condizione di essere dura come serve contro il terrore islamista. È questa la durezza che l’Europa deve mostrare, non quella esibita col filo spinato nel fango di Idomeni, nella dissennata umiliazion­e riservata a chi fugge da quella stessa violenza dell’Isis che semina morte qui da noi. Un’umiliazion­e che dà nuovi argomenti ai nostri nemici. La loro propaganda invece va sradicata al confine greco, come ai bordi delle nostre grandi città. Assieme ad ogni necessaria misura repressiva, serve guardare in faccia la radicalizz­azione dei giovani che nasce dalla marginalit­à nei ghetti urbani, più che da ragioni religiose, anche se poi a sfruttarla sono, specialmen­te sul web, i predicator­i di odio di un Islam distorto. Sono ragazzi che vivono in una sorta di mondo parallelo, il marchio e la rabbia che si portano appresso ne agevolano il reclutamen­to. Quanto più vivono questa condizione, tanto più sono disposti a tutto. Per evitare che finiscano nell’esercito del terrore dobbiamo riconoscer­e il problema, recuperarl­i alla cittadinan­za europea, chiamarli a condivider­e il nostro sistema di valori. È un lavoro lungo, ma rimandarlo non è solo insensato: è pericoloso.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy