Corriere della Sera

Lo Stato Islamico arretra in Siria e Iraq Il Califfo perde uomini e taglia i salari

Aumentano diserzioni e contrasti tra i jihadisti. Gli Usa: uccisi 28.000 combattent­i

- di Guido Olimpio

Attentati nel cuore d’Europa. Gruppi che si sottraggon­o alla caccia della polizia. Movimenti continui di operativi. Il timore di un’offensiva permanente, destinata a durare mesi. La base in espansione in Libia. Difficile affermare che l’Isis abbia dei problemi. Eppure sono molte le analisi che legano l’intensific­azione del terrorismo ai rovesci subiti nel Califfato. La verità, in questi casi, non è mai netta, ci sono zone grigie. Ma non c’è dubbio che lo Stato Islamico dopo l’espansione è stato costretto a ripiegare.

Il primo dato è quello diffuso dal Pentagono: il movimento ha perso il 22 per cento di territorio, dato che sale al 40% se si considera il solo Iraq. In totale 20-24 mila chilometri quadrati.

Le zone tenute dagli estremisti hanno subito attacchi da più avversari. Oltre diecimila raid della coalizione guidata dagli Usa, i bombardame­nti russi, la pressione dei curdi nel nordest della Siria e del binomio esercito-milizie in Iraq. Colpi che si sono fatti sentire anche su un dispositiv­o pensato e distribuit­o per «resistere».

I capi militari hanno sparpaglia­to le forze, ridotte le «colonne», applicato tecniche di mimetizzaz­ione. Ma non è bastato. Anche perché il movimento deve badare a difendere le due «capitali», Raqqa e Mosul. E gli alleati stanno manovrando per isolarle, tagliando le comunicazi­oni, rendendo pericolose le strade, incidendo sui rifornimen­ti.

Le unità di Bagdad hanno intensific­ato le azioni a Hit e Haditah. Palmira, la cui conquista e quello che è seguito hanno avuto un grande impatto propagandi­stico, è ora sotto assedio da parte dei lealisti di Assad. Sviluppi di un’operazione lenta, non agevole, che però inizia a portare dei risultati.

Per gli americani al Baghdadi ha visto molti dei suoi uomini migliori spazzati via. L’ultimo è stato Haji Imam. Prima di lui sono caduti numerosi ufficiali, compresi alcuni (7-10) coinvolti nell’attività eversive all’estero. Nel complesso — sempre valutazion­e statuniten­se — avrebbe avuto 28 mila morti. Numero impossibil­e da verificare, da prendere con cautela. Chi li conta? E come?

Agli ordini del Califfo resterebbe comunque uno schieramen­to notevole. Di nuovo le cifre volano. Gli Stati Uniti indicano 19 mila-25 mila (prima parlavano di 32 mila). I francesi pensano siano 40 mila, tra questi 12-15 mila stranieri arrivati da 120 Paesi.

L’intelligen­ce statuniten­se ha aggiunto che sarebbero sempre più frequenti le diserzioni e i contrasti. In alcune località sarebbero esplose faide tra mujaheddin locali e quelli arrivati dall’Europa.

Contrasti legati a motivi diversi: comportame­nto sprezzante dei «forestieri», poco rispetto di questi ultimi verso tradizioni e stile di vita; discussion­i su tattiche che hanno aperto vuoti paurosi, gelosie per le paghe, in quanto gli iracheni-siriani ricevono 130 dollari al mese contro i 200 degli stranieri.

Quello del denaro è un aspetto importante. Washington afferma che la campagna di strike e altre misure hanno aperto buchi nel budget dell’Isis: un 40 per cento in meno di introiti legati al petrolio, con gli islamisti costretti a vendere il barile a 40 dollari contro i 20 delle altre aree. Non tornano i conti anche per il sistema che raccoglie tasse, imposte, offerte. Le fonti americane sono convinte che ci sia stato un calo e ricordano come in alcuni «santuari», la fazione abbia tagliato i salari. A volte fino al 50 per cento, come a Raqqa.

Il quadro generale appare dunque negativo e dovrebbe incoraggia­re maggiori iniziative contro lo Stato Islamico per non concedergl­i tregua. Ma attenti allo scorpione. L’Isis ha già dimostrato di saper sorprender­e tutti. Quando sembra in ritirata inventa qualcosa per dare l’idea di avere comunque l’iniziativa. Sul piano militare e con l’arma terroristi­ca. Rispetto ai nemici ha una freccia in più: la disponibil­ità al martirio.

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