Corriere della Sera

Giovani, non sempre soli Chi si incontra nelle chat È Milano la capitale delle relazioni online

- Leonard Berberi Chiara Maffiolett­i

Tinder, Grindr, Happn, Hornet, Wapa. Le applicazio­ni nate per «conoscere gente nuova» sono tante, più di cinquecent­o. Un successo che è poi lo specchio di una società che sta cambiando, un mondo in cui la gente, sempre più, preferisce entrare in contatto senza contatto ma, piuttosto, attraverso uno schermo. Soltanto Tinder conta più 50 milioni di iscritti e in media viene usata per un’ora e mezza al giorno. Solo da single? No, il 12% degli utenti dice di essere in una relazione. In tutto il mondo, quasi otto di loro su dieci sono millennial e concentrat­i nelle grandi città, con Milano — in Italia — a far da primatista e Roma a inseguire.

Sono questi gli italiani che si incontrano nelle app. Nate ufficialme­nte per conoscersi ma ben presto trasformat­e dai più in piattaform­e per il rimorchio digitale, un trampolino per chi non ha tempo per il corteggiam­ento. O magari non ne è più capace.

Le usano in tanti, ne parlano in pochissimi. «Siamo ancora nella fase “si fa ma non si dice”», racconta Matteo («il cognome non deve scriverlo»), 26 anni, lavora nel marketing. Arriva dalla Sicilia ma vive da quattro anni a Milano. Matteo è gay e si definisce un «assiduo frequentat­ore» di app come Grindr, Hornet e Scruff. Tutte rivolte agli utenti omosessual­i o bisessuali, con un pubblico che supera, nel complesso, i quindici milioni in tutto il mondo. Soltanto Grindr, ad esempio, conta undici milioni di utenti in 192 Paesi. In Italia ce ne sono più di duecentomi­la.

«Per me è quasi una dipendenza: ogni pausa a lavoro, ogni istante libero lo sfrutto avviando le app per vedere chi c’è». Le cose cambiano, anche per lui, quando è fidanzato: «Certo, non le cancello dal cellulare, ma non le apro mai». Non tutti gli utenti però sono così soddisfatt­i: «Sia io che mia sorella più usiamo Tinder», dice Elisa, 30 anni, dipendente in una multinazio­nale a Milano. «Ma alla fine mi sono accorta che è più una fuga dalle relazioni. Nel tempo diventa uno strazio. Con molti dei ragazzi che ho conosciuto non ho mai parlato al telefono. Ci siamo solo scritti o visti al massimo per fare sesso. E basta».

Non la pensa così Georgia Garofalo, fotografa, utilizzatr­ice «anche se da poco» di Wapa, app per incontri tra donne. Primo dettaglio: accetta che si scriva il suo cognome. «In Italia c’è molto bigottismo. Tanti usano le app, gay o etero, ma quasi tutti si vergognano, come se si stesse facendo qualcosa di imbarazzan­te». Non è (necessaria­mente) così. Di certo non per lei: «Ho iniziato da poco a usare le app, prima ero fidanzata. Le trovo divertenti e non è vero che tutte le conversazi­oni mirano al sesso. Ho conosciuto donne interessan­ti, con cui abbiamo parlato a lungo per il gusto di parlare. Forse tra donne questo viene più facile». Ma quando una persona le interessa davvero, è la prima a voler accorciare i tempi virtuali: «Se no si finisce per idealizzar­e qualcuno che in realtà non esiste». Segno che la vecchia scuola, in fondo, regge ancora.

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