I FURBETTI DEL CARTELLINO FANNO «MELINA» BUROCRATICA
Difendersi dal processo, non nel processo. L’antico adagio d’epoca berlusconiana potrebbe diventare una tentazione per i furbetti del cartellino, i dipendenti pubblici che imbrogliano sulle presenze. Per questo il governo sta pensando di modificare il decreto approvato solo due mesi fa, dopo il caso di Sanremo, quello del vigile che timbrava in mutande. Qual è il problema? Il decreto, non ancora in vigore, dice due cose. La prima: chi viene colto in flagrante mentre striscia il badge e poi non entra in ufficio va sospeso entro 48 ore. E fin qui tutto liscio. La seconda: il procedimento disciplinare che può portare al licenziamento si deve chiudere entro un mese. Anche un solo giorno in più ne provoca la «decadenza». Cioè fine del processo e reintegro dell’ormai ex furbetto, magari con tante scuse. Il termine stretto di un mese garantisce una risposta rapida sia al diretto interessato sia all’opinione pubblica, così sensibile al tema. Ma è proprio qui che la tentazione si insinua. Più che difendersi nel merito, il furbetto potrebbe fare «melina»: chiedere una perizia tecnica sul tornello, ad esempio, con il solo obiettivo di superare la scadenza e farla franca. Fantasia? Il rischio è stato segnalato dall’Anci, l’associazione dei Comuni, che non contesta affatto la linea della severità. Ma, in un parere sul decreto, segnala come ci potrebbero essere effetti controproducenti. La realtà è sempre più complicata di quanto sembra. E i furbetti ci potrebbero addirittura guadagnare, specie quelli più furbetti degli altri. Il decreto è adesso in Parlamento per il parere delle commissioni. Si lavora a un correttivo. È possibile che il termine di un mese sia allungato, o che lo sforamento non porti alla fine del «processo» ma solo a una multa. A decidere saranno gli esperti. L’importante è che la melina non faccia vincere la partita.